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Biden farà esportare il petrolio del Venezuela a Eni e Repsol

Eni e Repsol hanno ricevuto un’autorizzazione speciale dall’amministrazione Biden: potranno esportare petrolio venezuelano per aiutare l’Europa a sganciarsi dalla Russia. Ma la Casa Bianca pensa anche alle elezioni di Midterm e alla necessità di abbassare il prezzo della benzina alla pompa

L’amministrazione Biden “non farà obiezioni” se Eni e Repsol riprenderanno a lavorare per vendere il petrolio del Venezuela. Reuters ha avuto informazioni su una lettera inviata dal dipartimento di Stato a San Donato Milanese e a Madrid, sede delle due società, lo scorso mese. La concessione — che deroga gli strumenti sanzionatori americani in piedi contro il regime di Nicolas Maduro — prevede solo una clausola: il petrolio venezuelano dovrà servire l’Europa.

Un aspetto che spiega le ragioni della scelta. Gli Stati Uniti stanno cercando di gestire sul medio-lungo termine i prezzi del greggio. È una diretta conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina: il valore del petrolio è oscillato, con tendenza al rialzo, vittima della guerra. Ora che l’Unione Europea ha deciso di muoversi verso sanzioni anche contro le esportazioni petrolifere di Mosca, si prevede una diminuzione delle produzioni russe che potrebbe ulteriormente alterare i prezzi.

L’amministrazione Biden da marzo sta lavorando per ricomporre le relazioni con il Venezuela, un regime illiberale guidato da un paria anti-occidentale, che Usa e Ue hanno messo sotto sanzioni da anni. Contemporaneamente la Casa Bianca ha iniziato a ricucire con l’Arabia Saudita, un regno molto criticato da Joe Biden già ai tempi della campagna presidenziale per le violazioni dei diritti umani, ma che rappresenta uno dei principali alleati statunitensi nella complicata matassa mediorientale (che sta riscoprendo una centralità anche grazie agli scombussolamenti del mercato dell’energia).

Con Riad c’è stato un incrocio di interessi e i sauditi nei giorni scorsi hanno deciso che l’Opec — il cartello di produttori su cui hanno molta influenza — aumenterà le produzioni in modo da bilanciare il calo russo (e dunque riequilibrare la regole della domanda/offerta). Ora tocca al Venezuela, a cui Washington fa la concessione sull’export anche cercando un contatto con il regime di Maduro affinché si apra un dialogo con l’opposizione (che un paio di anni fa è stata protagonista di un golpe che Washington ha provato a sostenere).

Sempre lo scorso mese, il governo americano ha invitato Chevron — la più grande società petrolifera statunitense attiva in Venezuela — a riavviare le discussioni con la statale Pdvsa per organizzare future operazioni nel Paese. In quell’occasione, l’amministrazione Biden ha confermato un waiver alle sanzioni per sei mesi a Chevron e contemporaneamente inviato le due lettere alle europee Eni e Repsol — preferite per rialzare l’export all’indiana Ongc (forse perché l’India sta comprando petrolio a prezzi ribassati dalla Russia) e alla francese Maurel & Prom.

I quantitativi che Eni e Repsol potranno esportare dovrebbero essere limitati, e non modificare tropo sensibilmente il mercato petrolifero. Tuttavia quella dell’amministrazione Biden è una decisione simbolica che Washington è disposta a farsi coinvolgere. Tenere i prezzi calmierati serve alla stabilità globale, ad assistere l’Europa nella differenziazione dalla Russia, a ridurre l’impatto del costo alla pompa anche sui consumatori americani (che tra pochi mesi andranno a votare per le elezioni parlamentari di metà mandato).

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