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Biden vuole un fronte compatto contro Putin. E parla con Riad e Caracas

Tentativo di dialogo con Riad (e Caracas), incontri con gli alleati occidentali. Biden vuole cercare di strutturare un fronte compatto per rispondere alla minaccia russa e allo scombussolamento globale prodotto da Putin con l’invasione dell’Ucraina

Secondo il sempre informatissimo sito Axios, il presidente statunitense, Joe Biden, starebbe organizzando una visita in Arabia Saudita per ricomporre le relazioni strappate con Riad e per chiedere al regno di Golfo di pompare più petrolio con cui riequilibrare l’enorme aumento del prezzo del greggio e di altre materie prime conseguente all’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. C’è anche una ragione interna, le sanzioni contro le esportazioni di petrolio della Russia – compreso un possibile divieto di importare petrolio russo negli Stati Uniti – aumenterebbero i prezzi dell’energia in tutto il mondo e alimenterebbero l’inflazione interna negli Usa.

La mossa di Washington – che aveva già chiesto ai sauditi di aumentare le produzioni, ma questi per ora avevano mostrato più interesse nel rispettare gli accordi OPEC+ stretti con la Russia – testimonia la gravità della crisi energetica globale prodotta dalla guerra. Biden ha avuto una posizione particolarmente severa con Riad nei primi due anni del suo mandato. Per esempio, la Cia ritiene che il factotum del regno, il principe ereditario Mohammed bin Salman, sia coinvolto nel macabro assassinio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi, e il presidente democratico non solo ha avallato la posizione ma ha fatto in modo di riportare le relazioni Washington-Riad sul dialogo con Re Salman, ossia riprendere con il regno su linea più classica rispetto al suo predecessore (che aveva l’erede come interlocutore diretto).

Quanto sta accadendo racconta di come le relazioni internazionali statunitensi si stiano adattando alla crisi che si è innescata, costringendo l’amministrazione democratica a mettere momentaneamente in pausa la volontà di esaltare i diritti umani come vettore di politica estera. Per esempio, funzionari statunitensi nel fine settimana scorso sono andati in Venezuela a parlare con la presidenza Maduro e chiedere anche a loro – rivali americani – di sganciarsi da Putin, a cui invece Caracas aveva mostrato subito solidarietà. Anche in questo caso, come ha spiegato il New York Times la questione riguarda il petrolio: alcuni legislatori (bipartisan) suggeriscono che il greggio venezuelano potrebbe sostituire quello russo.

Un portavoce della Casa Bianca ha replicato all’informazione che Axios ha fatto uscire: “Non abbiamo alcun viaggio internazionale da annunciare in questo momento, e molte di queste sono speculazioni premature”. Nei prossimi mesi, Biden probabilmente farà viaggi in Giappone, Spagna, Germania e, potenzialmente, Israele. Il quadro è sempre quello, e le visite classiche (di routine) diventano momenti per parlare della crisi innescata da Putin in Europa (e dunque del mondo).

Per esempio, Tokyo ha un ruolo in quella che Giulio Pugliese in un’analisi per lo Iai definisce “operazione economica speciale” – echeggiando l’operazione militare speciale di cui parla Putin per non dire ai suoi cittadini (e al mondo) che sta facendo la guerra. O ancora, Israele è un mediatore.

La questione è vasta: la crisi innescata da Putin ha scombussolato gli equilibri globali. Se l’architettura di sicurezza europee è praticamente saltata, il rischio è che a lungo andare gli effetti si facciano sentire sulla compattezza delle relazioni transatlantiche (e like-minded occidentali). Ossia che vadano a pesare su ciò che Biden sta costruendo, un fronte compatto (che agisce all’unisono) delle Democrazie globali.

Per esempio, l’invasione ha scatenato una crisi internazionale di rifugiati (si parla di 1,5 milioni già dislocati nei Paesi vicini all’Ucraina, che potrebbero soffrire questa pressione migratoria sia dal punto di vista economico sia socio-politico). Abbinata ai contraccolpi economici, la situazione può essere pesante, anche perché quegli stessi Paesi come la Polonia e la Moldavia sentono il rischio delle pressioni russe. Biden vuole assicurarsi che gli alleati degli Stati Uniti rimangano uniti.

La sua presenza di persona agli incontri al vertice evidenzia anche come la preoccupazione per il Covid-19 sia scemata. Il primo viaggio di Biden quest’anno è probabilmente in Giappone, potenzialmente a maggio. Si incontrerà con gli altri leader del Quad: Giappone, India e Australia. A giugno, è previsto che partecipi a una riunione del G7 in Germania. Questo sarà seguito da un vertice della Nato in Spagna. L’itinerario europeo potrebbe anche essere ampliato per includere una sosta in Israele. Riad potrebbe essere una tappa che modificherà l’agenda in via eccezionale.

Curiosità: il quotidiano saudita edito a Londra Asharq-Alawsat ha fatto uscire in questi giorni informazioni sulla possibilità che la Russia stia reclutando mercenari siriani dalle milizie pro-regime. Nell’operazione sarebbero impegnati i vertici del Gruppo Al-Bustan, che è un’unità assadista connessa a Rami Makhlouf, cugino del rais siriano Bashar el Assad – che senza l’aiuto della Russia non avrebbe più la testa sulle spalle (letteralmente, perché nel 2015 quando i russi intervennero in Siria i ribelli stavano per raggiungere Damasco).

Anche a questo Mosca pensava quando ha deciso di investire nell’intervento pro-Assad. Secondo il media saudita ci sarebbero diverse migliaia di combattenti già pronti all’invio sul fronte ucraino per un servizio di sette mesi e uno stipendio totale di 7mila dollari. Il quotidiano aggiunge che ci sono notizie di reclutamenti simili anche nel nord della Siria sotto il controllo dei turchi, ma a favore dell’Ucraina. Non è possibile verificare queste informazioni, ma è interessante appuntarne i tempi dell’uscita pubblica (probabilmente imbeccata).

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