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Se il Cremlino inizia a stare stretto a Putin

Rinchiuso nelle stanze del Cremlino a fare (e sopportare) la sua guerra, Putin cerca un anestetico nella causa popolare. Da San Pietroburgo, con quel che resta delle élite, è iniziata la partita più importante dello zar. Il commento del generale Mario Arpino

Mi sono fatto l’idea che, tra la solitudine dei numeri primi, sia proprio il numero uno ad avvertirla in misura assai superiore rispetto a tutti gli altri. E Vladimir Putin è senza dubbio un numero uno. Lo è sempre stato, perché numero uno si nasce. Ha cercato a lungo di mimetizzarsi, a volte moderandosi, a volte mandando avanti un sosia fedele, come il compagno Medvedev, ma alla fine esce la verità: il re non è soltanto solo, ma anche nudo. E quando si accorge di aver superato certi limiti altro non gli resta che confidare sulla benevolenza ed il sostegno del popolo. Per conquistarlo, sa di avere a disposizione un efficace catalizzatore: una scatola di iniezioni con una sostanza piuttosto volatile, ma che con il suo popolo va sicuramente ad effetto: il patriottismo. Con il discorso al forum economico si San Pietroburgo, “il numero uno” ha iniettato la prima dose. Prepariamoci, gliene serviranno anche altre.

La storia di questo forum è illustre. Non sarà Davos, ma ha 25 anni di vita ed è sempre stato la vetrina dell’economia russa. Però questa edizione, in tono minore, dai fasti di Davos si è allontanata parecchio. L’Occidente ha disertato in massa, senza alcun Capo di Stato presente. C’erano però i tre fedelissimi: il bielorusso Alexander Lukashenko, il kazako Kassym-Jomart Tokaev (quello che recentemente aveva “chiamato” Putin in soccorso, consentendogli il blitz-show con paracadutisti e forze speciali) e l’armeno Vahagn Khachaturjan.

Notata anche la presenza di  un ministro talebano, del ministro degli investimenti della Birmania e del governatore della Banca Centrale del Venezuela, tutti sotto sanzioni come la Russia. Presenze che non son certo servite a dare maggior prestigio all’ambiente ed il livello della discussione. La cronaca ci dice che l’unica eccezione occidentale siano stati gli italiani Vincenzo Trani, presidente della Camera di commercio italo-russa, e Alfredo Gozzi, direttore di Confindustria Russia. Scarsa affluenza, quindi, nonostante le principali aziende tecnologiche russe abbiano effettivamente prodotto il massimo sforzo di richiamo con scelte pubblicitarie costose, molto avanzate e di grande effetto scenico. Sfortunatamente, tutto ciò ha posto maggiormente in evidenza la solitudine dello zar.

Il suo intervento, anticipato qualche giorno prima (nei toni e nei modi, oltre che nei contenuti) in un’intervista del fedele Medvedev (il possibile delfino? ndr), a questo punto è apparso come una serie di messaggi diretti ai propri cittadini ed adepti, piuttosto che all’esterno della Federazione, dove è stato accolto con ostentata indifferenza. È stato un discorso molto duro, pronunciato anche con toni abbastanza ruvidi, incentrato su argomenti che possono aver fatto un certo effetto all’interno, dove l’ambiente sociale, abituato da sempre ad un’informazione di tipo controllato, è probabilmente assai meno disincantato del pubblico occidentale.

Si è incentrato sopra tutto sull’effetto delle sanzioni occidentali, giudicate “folli, sconsiderate e per di più autolesive alle proprie economie”. Autolesive anche sotto il profilo politico interno, perché lo scontento per il picco di inflazione e le conseguenti difficoltà  porteranno l’Europa “…a un’ondata di radicalismo ed in prospettiva anche ad un cambiamento di élite”.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è stato ancora più duro, affermando (nota Ansa) che “…gli Usa pensano di essere l’unico Centro del Mondo, ma l’era dell’ordine mondiale unipolare è finita, nonostante tutti i tentativi di conservarlo con qualsiasi mezzo”. E, rincarando la dose per riprendere un concetto già espresso dal patriarca ortodosso Cirillo, ha aggiunto che “…gli Usa dopo la Guerra Fredda si sono dichiarati il messaggero di Dio sulla Terra, che non ha obblighi, ma solo interessi, e questi li ritengono sacrosanti”. Parlando del futuro, ritiene che sia sbagliato “…pensare che dopo un periodo di cambiamenti tutto tornerà alla normalità e sarà come prima”.

Venendo a qualche considerazione sull’Unione Europea, si è detto convinto che abbia irreversibilmente perduto la propria sovranità, negando che il peggioramento delle condizioni economiche sia dovuto all’operazione militare speciale in Ucraina. Per quanto riguarda quest’ultima, “…tutti gli obiettivi saranno realizzati (ma non ha precisato quali, ndr), perché è la decisione di uno Stato sovrano basata sul diritto di garantire la propria sicurezza”. Per quanto riguarda il grano ucraino, ha assicurato l’appoggio all’Onu per la risoluzione del problema, “…perché non siamo stati noi a minare il loro porti”.

Infine, un apprezzamento per “…il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati e per il consolidamento della società russa, il cui sostegno e fiducia all’Esercito ed alla Marina, con una profonda comprensione della giustezza e della giustizia storica della nostra causa, che ci porterà alla costruzione di una potenza forte e sovrana”. Ha concluso con un’esortazione verso le aziende russe ad “…investire nel nostro Paese, che ha un potenziale enorme e gli obiettivi che richiedono l’impiego di forze (occupazione? ndr) sono innumerevoli”.

A questo punto ci starebbero bene gli applausi, ma le cronache non ne parlano, preferendo lasciarceli immaginare. E noi li immaginiamo. Perché, come i vecchi geopolitici (in disarmo dopo i guai fatti da Hitler), siamo ben convinti che l’indole e la cultura dei popoli dipendano in larga misura dalla geografia dei territori dove abitano, vivono e prolificano. Il “patriottismo russo” fa parte di questa cultura e Putin, che è nato proprio a San Pietroburgo, lo sa benissimo. E quindi, anche in questa occasione, lo ha sparso con mirata attenzione su un terreno molto fertile, imitando “l’ampio gesto del seminatore”.

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