Il Cremlino vuole imporre ai creditori esteri lo stesso schema applicato con il gas, ovvero l’apertura di conti in rubli, per tentare di evitare il crack. Che però può non bastare a fermare la guerra…
Una carta da giocare, forse l’ultima, prima di scivolare nell’abisso. Sempre che di abisso si tratti. La Russia, a cui mercati e investitori hanno da tempo voltato le spalle, facendo venire meno il proprio sostegno al debito, potrebbe finire già il mese prossimo a corto di liquidità, dunque impossibilitata a onorare i propri impegni con in creditori esteri.
Il fatto è che mai come oggi Mosca è esposta ad un default storico del debito dopo che la scorsa settimana il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha lasciato scadere un’importante esenzione per il pagamento delle cedole dei bond in circolazione. Esenzione, sotto forma di licenza, che aveva permesso alla Russia di effettuare i pagamenti agli obbligazionisti stranieri in dollari attraverso le banche statunitensi e internazionali, evitando così il default.
Ma ora tutto questo è finito e allora ecco l’ultimo asso russo. E così Mosca continuerà a pagare i propri debiti con l’estero in rubli, ma i detentori stranieri di obbligazioni dovranno aprire conti in moneta russa, se vorranno ricevere i pagamenti. Un po’ come accade per il pagamento del gas, dove il Cremlino ha imposto l’obbligo di saldare gli acquisti di gas non più in euro o in dollari (come prevedevano i contratti) ma in rubli. Un modo per sostenere la moneta locale e, di conseguenza, l’economia colpita dalle sanzioni dei paesi occidentali.
Attenzione, non tutti sono però convinti che un default della Russia, pilotato o meno che sia, possa sancire la fine della guerra in Ucraina. Per esempio dalle parti del Washington Post c’è la profonda consapevolezza che solo un vero stop alle forniture di gas russo possa mettere il Cremlino in ginocchio. “La principale vulnerabilità economica della Russia resta l’esportazione di petrolio e gas. È qui che gli Stati Uniti e i loro alleati devono mantenere la concentrazione”, si legge in editoriale del quotidiano americano.
Per il quale “la Russia ha lavorato duramente per mantenere in piedi il pagamento del debito, dimostrando se non altro che Putin considera il default come un ulteriore colpo alla sua credibilità. I suoi funzionari erano stati in grado di sfruttare una scappatoia che consentiva di effettuare i pagamenti, ma ora gli Stati Uniti hanno chiuso anche questo canale. E persino le alternative creative, come consentire ai creditori esteri di aprire conti nelle banche russe in rubli, sembrano difficilmente scongiurare l’inevitabile”.
Va bene, ma default non vuole dire resa, è la tesi di fondo. “Forzare la mano verso un’insolvenza della Russia non colpirà i creditori più di quanto non siano già stati colpiti, perché la maggior parte del debito è già stata venduta o svalutata. Per questo un default non porrà fine alla guerra. Per portare avanti tale obiettivo, invece, l’alleanza occidentale deve concentrarsi sull’arresto delle importazioni russe di componenti industriali e, soprattutto, sul contenimento delle sue esportazioni di petrolio e gas. Ci sono stati progressi su entrambi. La compagnia di bandiera Aeroflot, ad esempio, è stata tagliata fuori dai produttori stranieri, mentre gli ultimi dati sulla produzione industriale mostrano una forte contrazione ovunque siano richiesti componenti esterni. A tempo debito, sarà questo il colpo mortale”.