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Tetto al gas? Fortis spiega perché piace a noi e non alla Germania

Intervista all’economista della Cattolica e direttore della Fondazione Edison. Un price cap avrebbe senso, anche se la vera cura è la diversificazione dei fornitori e delle fonti. Il ritorno al carbone tedesco dimostra che la transizione è un percorso lungo e non immediato. L’inflazione? Se la guerra finisce scenderà

Per un attimo sembrava che sul gas l’Europa riuscisse a trovare la convergenza, a cementare gli obiettivi. E invece no, per mettere un tetto al prezzo dell’energia importata dalla Russia, bisognerà aspettare ancora un po’, nonostante il pressing tambureggiante del governo italiano. Settimane, forse mesi (la proposta prevede sostanzialmente di imporre un tetto massimo al prezzo che i paesi dell’Ue sono disposti a pagare per acquistare gas naturale).

E pazienza se nel frattempo scatterà il tanto temuto razionamento per imprese e famiglie. O qualche Paese, la Germania, tornerà addirittura al carbone, dal momento che il nucleare è solo un lontano ricordo. Formiche.net ne ha parlato con Marco Fortis, economista della Cattolica di Milano e direttore della Fondazione Edison.

TETTO O NON TETTO

“Il tetto al gas sarebbe certamente un elemento calmieratore, ma il punto è un altro: come può l’Europa diversificare le sue fonti? Un conto è il price cap, e va bene, certamente l’Italia ne guadagnerebbe. Ma la verità è che dobbiamo comprare energia altrove”, spiega Fortis. “Abbiamo visto la Germania tornare al carbone e anche questo è conseguenza di un price cap mancato. Se il prezzo del gas è alto, la Germania che non ha nemmeno più il nucleare rischia di rimanere nel guado. E allora ecco la via del carbone”.

IL CASO TEDESCO

Fa strano, però, parlare di carbone in piena transizione. “Berlino fa i propri interessi, della transizione in questo momento gli importa forse meno. E poi è la dimostrazione che il salto verso le rinnovabili è lungo, mica corto. Nelle more è possibile anche una retromarcia”. Un’altra parola tipica di queste difficili settimane è razionamento. “Difficile fare delle previsioni, abbiamo gli stoccaggi, ma bisogna capire quanto dura la guerra. Gli stoccaggi possono funzionare, dipende anche dal freddo dell’inverno, l’altra variabile è la durata del conflitto. Possiamo dire che il razionamento è un’ipotesi, seppur estremi. Oggi è prematuro fare delle previsioni, tornando alla Germania abbiamo visto già i primi allarmi ma forse sono sirene strumentali, dal momento che proprio grazie a questi allarmi è possibile giustificare il ritorno al carbone”.

IL MITO DELL’INFLAZIONE

Fortis affronta poi anche il tema dell’inflazione, che parte dall’energia e arriva fino agli scaffali dei supermercati. La quale “allo stato attuale sta erodendo in maniera importante il potere d’acquisto delle famiglie, che come sappiamo con i loro consumi muovono due terzi del Pil. Se il conflitto modifica delle abitudini di vita dei cittadini italiani ed europei. Consideriamo che al confronto l’austerity dei primi anni 70 è stata molto più gestibile, perché sono state le nostre istituzioni a decidere quando non far circolare le auto e preservare le fonti energetiche. Oggi abbiamo un’economia molto più complessa, in cui anche i nodi tecnologicamente più avanzati, come ad esempio i server aziendali o le infrastrutture per la comunicazione mobile, necessitano di grandissime quantità di energia, e non possono essere spenti”.

Detto questo, “consideriamo sempre che l’attuale livello di inflazione è come una fotografia. Oggi è alta ma non è detto che ce l’avremo sempre al 7%, perché altrimenti il potere di acquisto viene azzerato. Dunque possiamo aspettarci, qualora il conflitto finisse, un rientro del costo della vita, magari al 2-3%. Non possiamo pensare che siccome l’inflazione oggi è alta allora lo debba essere anche l’anno prossimo. Oggi è così, domani si vedrà”.

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