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Mire cinesi (stoppate) sulla tecnologia italiana. La versione di Robox

L’offerta della società legata al governo di Pechino è congelata dopo l’opposizione del governo Draghi all’accordo sui codici sorgente. Montorsi, membro della cda, al quotidiano La Stampa spera che lo stop sia temporaneo e auspica un risarcimento

“Adesso anche il nostro socio cinese non sa che cosa accadrà”. Parla così Lea Montorsi, membro del consiglio di amministrazione di Robox, all’indomani della notizia – diffusa in Italia da Formiche.net – dell’esercizio dei poteri speciali da parte del governo Draghi su un’operazione di trasferimento di tecnologia verso la società cinese Efort Intelligent Equipment, leader nella robotica e legata al governo di Pechino, già presente nell’azionariato dell’azienda novarese. Lo fa con alcune dichiarazioni, le uniche rilasciata alla stampa, pubblicate sull’edizione locale del quotidiano La Stampa.

Con l’opposizione all’accordo per il trasferimento di tecnologia (una licenza tecnica per accedere a codici sorgente e file per un controvalore di 1 milione di euro) è stata congelata di fatto l’intera operazione che prendeva anche l’aumento della partecipazione di Efort Intelligent Equipment dal 40% al 49% (per 2 milioni) in Robox. “In effetti non facevamo passare la maggioranza ai cinesi, noi restiamo con il 51%, quindi il controllo resta nostro”, spiega Montorsi, uno dei tre membri del consiglio di amministrazione (gli altri sono il padre, Roberto Montorsi, fondatore e amministratore unico della società, e Wei You, amministratore di Efort). “Il problema è che adesso anche il nostro socio cinese non sa che cosa accadrà. Di certo questo stop blocca un importante investimento con cui avremmo potenziato la produzione e aumentato i posti di lavoro qui a Castelletto Ticino”, aggiunge.

L’azienda novarese, che conta una quartina di dipendenti, ha chiuso il bilancio 2021 con ricavi pari a 7,5 milioni di euro (in crescita rispetto ai 5,8 milioni del 2020). L’anno scorso ha registrato un utile pari a 674.000 euro, in crescita rispetto a 158.000 euro del 2020. “Siamo un’azienda comunque di dimensioni ridotte”, continua Montorsi, “anche per questo non riusciamo a capire questo provvedimento”. L’auspicio dell’azienda è che si tratti di uno stop “temporaneo e che tutto si risolva alla conclusione del conflitto, quando ci sarà una situazione internazionale più tranquilla”.

Intanto, però, Montorsi chiede un risarcimento (questione di cui si era parlato anche dopo lo stop del governo Draghi a un altro affare “cinese”, quello che riguardava il produttore di semiconduttori Lpe). Il ragionamento è il seguente: l’esecutivo “ha stoppato un’operazione che avrebbe portato occupazione e lavoro in Italia”, ora l’azienda si aspetta che lo stesso “conceda un investimento a fondo perduto analogo a quello che avremmo ricevuto dalla Cina, proprio per favorire l’industria italiana e l’occupazione”.

Al fondo dell’articolo Montorsi, commentando la decisione di Robox di incaricare i propri legali di approfondire i contenuti della normativa Golden power per potere presentare le eventuali controdeduzioni e correzioni, dice: “Probabilmente non abbiamo insistito a sufficienza sui vantaggi in termini di occupazione che questa operazione comporta”.

Ma questi aspetti riguardano la parte dell’offerta di Efort Intelligent Equipment su cui il governo non si è opposto. Difficilmente l’esecutivo potrà essere convinto dagli aspetti economici e finanziari davanti al trasferimento di tecnologia verso la Cina se è vero, come ha spiegato la vicesegretaria di Stato americana Wendy Sherman rispondendo a una domanda di Formiche.net, che il governo Draghi, “comprende molto bene come la Repubblica popolare cinese operi nel mondo”.

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