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Tre motivi che portano Biden a Riad

Sempre più concreta la visita di Biden a Riad. Tre notizie di cronaca spiegano cosa potrebbe aver contribuito alla scelta del presidente Usa, e come il corso del potere saudita di Mohammed bin Salman si stia plasmando su una linea pragmatica

Aggiornamento del 4 giugno, ore 5:38. Le visite previste dal presidente Joe Biden in Arabia Saudita e Israele alla fine del mese sono state rinviate a luglio, hanno riferito venerdì diversi funzionari alla NBC News. La Casa Bianca sta ora pianificando un viaggio più ampio in Medio Oriente il mese prossimo.

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Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avrebbe deciso di recarsi a Riad questo mese per ricostruire le relazioni con l’Arabia Saudita, dopo che i rapporti tra i due alleati sono scesi ai minimi storici sotto la sua presidenza. Anche se le date sono ancora in fase di discussione, Biden ha pianificato di aggiungere la visita a un viaggio in Europa e in Israele già programmato, hanno dichiarato funzionari dell’amministrazione al New York Times. È la conferma di voci che circolano da un paio di settimane e che negli ultimi giorni si erano fatte via via più consistenti.

Durante la sua sosta a Riad, il presidente incontrerà il principe ereditario Mohammed bin Salman, ritenuto responsabile dello smembramento del dissidente Jamal Khashoggi, editorialista del Washington Post. Biden incontrerà anche i leader di altre nazioni arabe, tra cui Egitto, Giordania, Iraq ed Emirati Arabi Uniti. Ma il faccia a faccia con bin Salman è l’aspetto più interessante dell’intero tour, visto che finora l’americano ha evitato con lui contatti pubblici e diretti. La visita conferma che l’amministrazione Biden, e in particolare il presidente, riconoscono il ruolo attuale di factotum del principe e soprattutto quello ereditario futuro.

Stando a quanto noto dell’agenda presidenziale, il capo di stato americano dovrebbe essere in Israele e West Bank tra il 20 e 22 giugno, mentre dal 26 al 28 sarà a Berlino per il G7 e successivamente a Madrid per il vertice Nato: per Riad e il Golfo resterebbero i giorni 23-25. Tre fatti di cronaca dal valore molto ampio potrebbero aver contribuito a muovere la scelta di Biden. Uno riguarda il mondo del petrolio, un altro il conflitto in Yemen, e infine uno le relazioni di Riad con Israele. Sono in parte interconnessi e simbolici del nuovo atteggiamento saudita, ragione generica alla base della possibilità — e necessità — degli Stati Uniti di distendere il rapporto, come previsto su queste colonne da Eleonora Ardemagni (UniCattolica/Ispi). Vediamoli più nel dettaglio.

Nella riunione di giovedì 2 giugno, l’OPEC ha deciso di aumentare di circa 650.000 barili al giorno la produzione di greggio nei mesi di luglio e agosto, rispetto agli aumenti pianificati post pandemia da 400.000 barili giornalieri. La decisione, guidata dall’Arabia Saudita, si lega alla necessità di far fronte al calo della produzione russa dovuto alle sanzioni che l’Unione Europea vuole imporre anche sul mercato del petrolio di Mosca, come misura punitiva dopo l’invasione dell’Ucraina. Da un paio di mesi, gli Stati Uniti stanno facendo pressioni su Riad (e Abu Dhabi) per questo genere di scelta, ma finora il Golfo aveva aggirato la richiesta. Per i Paesi produttori della regione era necessario mantenere attivo l’accordo con la Russia sulle quantità da produrre deciso in sede OPEC+ (meccanismo comune creato nel 2016). I sauditi, in accordo con gli altri membri, sospenderanno le quote previste per la Russia con un provvedimento simile a quello già concesso a Libia e Iran: è una scelta di interessi, ma la Casa Bianca ha particolarmente apprezzato e lo ha reso pubblico, con tanto di lode a Riad. Una atteggiamento che bin Salman avrà certamente apprezzato a sua volta. A proposito di apprezzare: i mercati hanno recepito l’aumento delle produzioni abbassando i prezzi.

Sempre nello stesso giorno, è arrivata la conferma che la tregua in Yemen sarà prolungata per altri due mesi — e questo apre scenari per un consolidamento del cessate il fuoco, che a sua volta dà speranze per la costruzione di un negoziato verso una pace duratura. Il conflitto yemenita è sanguinoso e ha già prodotto una crisi umanitaria senza precedenti. Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Europa, ritengono questa come un’opportunità da sfruttare a ogni costo, anche perché l’unica concreta in sette anni di guerra. Finora i ribelli yemeniti Houthi, che hanno rovesciato il governo di Sanaa, e la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che cerca senza successo di ristabilire l’ordine (non senza violenza), non hanno mai trovato un punto di contatto. Anche perché gli Houthi, con tecnologia iraniana fornita dai Pasdaran, hanno più volte bombardato le città saudite (ed emiratine). Ma il prolungarsi dei combattimenti ha portato a una fase di logoramento. “Lodo le parti per aver intrapreso questi passi […] Questa rappresenta un cambiamento significativo nella traiettoria della guerra ed è stata raggiunta attraverso un processo decisionale responsabile e coraggioso”, ha scritto in un comunicato l’inviato speciale Onu per lo Yemen, Hans Grundberg. Biden ha commentato con una nota il prolungamento della tregua, dicendo che l’Arabia Saudita ha dimostrato una “leadership coraggiosa” approvando e attuando i termini dell’Onu.

Ancora: sempre giovedì 2 giugno, è circolata la notizia che Israele e Arabia Saudita hanno raggiunto un accordo sulle isole Tritan e Sanifar, che si trovano all’imbocco del canale che dal Mar Rosso sale verso il porto israeliano di Eliat e quello giordano di Aqaba. Originariamente concesso all’Egitto il controllo delle isole negli anni Cinquanta, Il Cairo ha varato negli ultimi anni provvedimenti per restituirle ai sauditi. Anche Israele ha acconsentito, in linea di principio, nel 2016, ma gli accordi di sicurezza alternativi non erano stati finalizzati. L’amministrazione Biden ha lavorato per raggiungere un accordo tra le parti. Non è previsto alcun incontro pubblico tra funzionari sauditi e israeliani per annunciare l’accordo, ma Biden lo presenterà come un risultato della sua amministrazione durante il suo viaggio nella regione, che oltre alla possibile Riad includerà quella sicura a Gerusalemme. Pur non negando i negoziati, il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha chiarito che le relazioni diplomatiche con Israele non sono all’orizzonte immediato. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha detto questa settimana, in occasione di un evento della rivista Foreign Affairs, che “l’Arabia Saudita è un partner fondamentale per noi nell’affrontare l’estremismo nella regione, nell’affrontare le sfide poste dall’Iran e anche, spero, nel continuare il processo di costruzione di relazioni tra Israele e i suoi vicini, sia vicini che lontani, attraverso la continuazione, l’espansione, degli Accordi di Abramo”.

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