Dialogo tra Sullivan e Yang, Usa e Cina si parlano perché in momenti così particolari “entrambe le parti riconoscono il bisogno di cooperazione”, commenta Sciorati (Uni Trento)
Il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha avuto un incontro — definito “produttivo” — di oltre quattro ore con il membro del Politburo del Partito Comunista cinese Yang Jiechi. Il meeting è avvenuto lunedì in Lussemburgo “senza troppe fanfare”, per usare il commento di Carl Bildt, co-chain dell’ECFR.
Il faccia a faccia tra i due alti funzionari — entrambi molto vicini ai rispettivi leader, Joe Biden e Xi Jinping — non era stato annunciato. Un’altra particolarità è che avviene appena tre giorni dopo il meeting tra il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, con l’omologo cinese, Wei Fenghe, avvenuto nel quadro pubblico dello Shangri-La Dialogue che l’International Institute for Stratetegic Studies organizza a Singapore.
Stati Uniti e Cina si parlano. Tra le due potenze, poli dell’attuale quadro globale, c’è una forma di dialogo, sebbene restino diversi gradi di separazione. Durante la conferenza dell’IISS, Austin ha per esempio accusato Pechino di “attività militari destabilizzanti vicino a Taiwan”, mentre Wei in quella stessa occasione sosteneva la Cina avrebbe combattuto contro l’indipendenza di Taiwan “a tutti i costi”, accusando a sua volta gli Stati Uniti di “infangare” l’immagine della Cina.
In modo simile, Sullivan avrebbe esposto a Yang Jiechi, che è direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale degli Affari Esteri, preoccupazione per “le azioni coercitive e aggressive di Pechino attraverso lo Stretto di Taiwan”. Il destino dell’isola è da tempo considerato uno dei principali punti di frizione tra i due Paesi.
L’incontro lussemburghese è stato annunciato in un briefing stampa da un funzionario statunitense, che ha dichiarato che è stato “produttivo” e fa parte degli sforzi dell’amministrazione per “gestire la dinamica competitiva” con Pechino e “ridurre i rischi” attraverso la comunicazione reciproca delle rispettive intenzioni e priorità.
Vari i temi secondo il resoconto statunitense. Per esempio, sull’Ucraina, Sullivan avrebbe messo in guardia la Cina da “certi tipi di assistenza alla Russia”. Un riferimento non troppo velato a eventuali (pensieri sugli) invii di materiale militare a Mosca. Poi l’americano avrebbe esposto la contrarietà sulla scelta fatta dal delegato cinese all’Onu di mettere il veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per sanzionare nuovamente il programma nucleare e i test missilistici della Corea del Nord.
Nel proprio resoconto, Pechino ha elevato la narrazione sostenendo che “la Cina e gli Stati Uniti dovrebbero rafforzare il dialogo e la cooperazione, gestire correttamente le differenze ed evitare conflitti e scontri”. Ma nel comunicato, Pechino dichiara anche di opporsi ai tentativi (americani) di “diffamare la posizione della Cina” sulla guerra in Ucraina e afferma che, sebbene l’amministrazione Biden abbia giurato di aderire alla Politica di una sola Cina nei confronti di Taiwan, i suoi “fatti sono ovviamente incoerenti con le sue parole”.
Il riferimento qui va anche ad alcune dichiarazioni di Biden, che ha abbandonato una linea di ambiguità tenuta finora da Washington, dichiarandosi (più volte) pronto a difendere Taipei in caso di azioni dirette cinesi. Dichiarazioni poi corrette dagli apparati, ma che più di una gaffe potrebbero essere un modo per iniziare a far circolare una futura nuova postura statunitense sul dossier. Gli Stati Uniti sposano la politica della One China, esposta per la prima volta nel Joint Communiqués del1972, secondo cui non esiste la Repubblica di Cina.
Sullivan e Yang Jiechi si erano recentemente incontrati a Roma. Un colloquio di durato otto ore il 14 marzo, da cui era scaturita una telefonata tra Biden e Xi. Spesso infatti, per gli Stati Uniti come per altri Paesi, questi vertici condotti dal consigliere per la Sicurezza nazionale hanno come obiettivo la preparazione per successive mosse del presidente. In questo caso, nel briefing ricevuto dalla stampa la Casa Bianca non specifica se il faccia a faccia in Lussemburgo è stato propedeutico a un qualche contatto tra leader.
“Per quanto il parallelo con la Guerra Fredda non sia funzionale per descrivere questa fase del confronto tra Stati Uniti e Cina — commenta Giulia Sciorati, Research Fellow in Chinese Studies all’Università di Trento — Washington ricorda gli insegnamenti della Crisi di Cuba e tenta di mantenere aperta una linea di dialogo su quei dossier di cui entrambe le parti riconoscono il bisogno di cooperazione”.
Per Sciorati, questi sono momenti chiave per “evitare di nutrire la polarizzazione e la spaccatura del sistema”. “La Cina — continua — riconosce che la cooperazione con gli Stati Uniti è importantissima per mantenere la stabilità sistemica e il fatto di mandare il top diplomat Yang Jiechi a un altro lungo incontro con Sullivan ne è un esempio”.