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Collisione spaziale. Un micrometeorite colpisce il telescopio Webb

Il telescopio orbitale James Webb della Nasa è stato colpito da un micrometeorite. Secondo l’Agenzia spaziale americana, però, non si sono registrati danni considerevoli, e non sono state compromesse le prestazioni complessive della missione che mira a studiare le origini delle stelle e delle galassie, cercando così di capire le origini dell’Universo

Collisione nello Spazio. Il telescopio James Webb della Nasa, lanciato il 25 dicembre dello scorso anno, è stato colpito da un micrometeorite delle dimensioni di un granello di polvere. A darne notizia è stata proprio l’Agenzia spaziale americana su Twitter. Nonostante l’impatto abbia coinvolto uno dei 18 specchi del telescopio in misura maggiore rispetto a quanto previsto, non c’è da preoccuparsi. Webb è infatti stato costruito appositamente per poter resistere a questo genere di collisioni e la missione potrà quindi proseguire, come preventivato, nei suoi prossimi dieci anni di vita operativa. Le prime immagini a colori e ad alta definizione raccolte dal telescopio dovrebbero infatti essere rilasciate quest’estate, insieme ai dati spettroscopici.

La collisione

Per il team di Webb sono al momento in corso le valutazioni del danno, e gli scienziati e i tecnici cercheranno di sfruttare quanto accaduto per aggiornare il proprio pacchetto dati riguardo all’ambiente che circonda il telescopio, così da farsi trovare sempre più pronti per eventi analoghi in futuro. In particolare è stato colpito uno dei 18 specchi fatti di berillio rivestiti d’oro e di vetro, noto come C3. Ma come può della polvere aver fatto preoccupare i tecnici della Nasa? La grande velocità a cui viaggiano gli oggetti nello Spazio fa sì che anche un piccolo granello possa colpire con grande energia, proprio come quello che si è scontrato con il telescopio. In realtà questa non è stata l’unica collisione di questi neanche sei mesi di Webb nello spazio, infatti ve ne sono state quattro, con quest’ultima che è stata la più significativa.

Pronti all’impatto

“Abbiamo sempre saputo che Webb avrebbe dovuto resistere all’ambiente spaziale, che include anche gli attacchi occasionali di micrometeoriti all’interno del nostro Sistema Solare”, ha spiegato Paul Geithner, vicedirettore tecnico del progetto presso il Goddard space flight center della Nasa nel Maryland. “Abbiamo progettato e costruito Webb con un margine di prestazione, per garantire che possa svolgere la sua ambiziosa missione scientifica anche dopo molti anni nello spazio”, ha rassicurato ancora Geithner. Grazie ai sensori e al suo sistema di riposizionamento degli specchi, sia in orbita che da Terra, Webb è infatti in grado di correggere eventuali distorsioni. Toccherà nel dettaglio agli ingegneri cercare di limitare il più possibile la distorsione dovuta alla collisione, anche se sarà impossibile rimuoverla del tutto.

Il telescopio James Webb

Per costruire James Webb, ci sono voluti sforzi non indifferenti: circa tre decenni, il lavoro di oltre mille persone e 12 miliardi di dollari. Si tratta di un vero e proprio gioiello tecnologico che scruterà l’universo con una potenza mai vista finora, neanche dal suo predecessore Hubble, lanciato nello spazio nel 1990. “Il nuovo telescopio Webb è cento volte più potente di Hubble e riuscirà ad allargare il range dei pianeti osservati grazie al suo potere di assorbire la radiazione che arriva anche da oggetti molto deboli e spingerà sempre più distante i limiti dell’universo osservato”, aveva raccontato ad Airpress Antonella Nota, associate director per l’Esa dello Space telescope science institute che ha lavorato per molti anni alla realizzazione del telescopio. Per Nota: “Ciò sarà possibile anche grazie alle dimensioni maggiori, i 2,5 metri di Hubble contro i 6,5 metri di Webb; con il suo piccolo specchio Hubble è arrivato a guardare l’universo fino a 400 milioni di anni dopo il Big bang, ma con il suo successore stimiamo di riuscire a vedere fino a cento milioni di anni dalla nascita dell’universo”.

La ricerca sull’origine dell’Universo 

Il periodo dai 100 ai 400 milioni di anni è quello in cui si sono formate le prime galassie; inizialmente piccole, deboli, rosse e irregolari sono molto diverse dalle galassie grandi e organizzate a cui siamo abituati oggi, come Andromeda e la Via lattea. “Studiare i primi 300 milioni di anni e vedere come queste galassie si sono formate ed evolute sarà infatti uno degli obiettivi primari di Webb”, ha spiegato la scienziata. Il telescopio trasmette i suoi dati alla base Nasa di Baltimora e da lì vengono inviati direttamente in Italia, più precisamente in Toscana dove saranno studiati dal Gruppo di ricerca di cosmologia della Normale di Pisa, il cui progetto è stato selezionato tra più di mille proposte provenienti da tutto il mondo. Tuttavia Webb non indagherà solo le galassie, i potenti occhi spaziali del telescopio sono pronti a studiare anche la nascita delle prime stelle, formatesi intorno ai 100 milioni di anni fa, che erano “enormi, molto massicce e con una vita brevissima, per questo motivo sono rare e difficili da vedere ma speriamo nella riuscita del nuovo telescopio”. Anche se, come raccontato da Antonella Nota: “Ciò di più importante che verrà fuori da Webb saranno le sorprese, quelle che non ci aspettiamo in uno spazio infinito di possibilità”.

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