Il costo della vita è ai massimi da quattro decenni e per gli americani urge una soluzione. Che Washington ha individuato: togliere parte dei dazi sulle materie prime cinesi su cui il predecessore di Biden aveva costruito parte della sua politica economica. Ma non è finita. Anche sulle quotate del Dragone ci sono novità
E pensare che il suo predecessore, quel Donald Trump tutto fuoco e furia, ci aveva costruito sopra un buon pezzo di politica economica. Dazio dopo dazio, merci e materie prime cinesi importate avevano finito con il costare molto di più di quanto il mercato indicasse. E lo stesso valeva per i flussi statunitensi verso il Dragone. Una guerra commerciale in piena regola, dettata dallo strapotere della Cina lungo il filo della globalizzazione. Scontro che però ora perde potenza, almeno in questa fase.
ALL’ORIGINE DELL’INFLAZIONE AMERICANA
Sì, perché l’economia americana, come un po’ il resto del mondo, ha riscoperto l’inflazione. La combinazione a stelle e strisce è di quelle che fanno paura e non può certo stupire che oggi il costo della vita negli Usa sia all’8,5%, ai massimi dal 1982, quando c’era Ronald Reagan presidente. Prima i piani pandemici, primo atto dell’amministrazione democratica, che hanno se non inondato di denaro il mercato (solo uno dei molteplici piani è stato effettivamente approvato), almeno creato un’aspettativa di nuova liquidità per famiglie e imprese non indifferente.
Poi, è arrivata la guerra in Ucraina e le strozzature sulle catene di approvvigionamento: l’America, dal punto di vista energetico, è autosufficiente (petrolio e gas non mancano), ma il contagio dei rialzi ha comunque varcato l’Atlantico. Terzo elemento, forse quello più decisivo nella spinta all’inflazione, il fatto che i cittadini americani hanno ricominciato a comprare, mentre l’occupazione galoppava, aumentando la domanda e spingendo i prezzi. Dando insomma vita a quella spirale salari-prezzi tanto temuta in Europa ma ben lontana, per ora, dall’avverarsi nel Vecchio Continente dal momento che in Ue il problema inflazione è legato alla dipendenza energetica dalla Russia. Per tutti questi motivi, l’inflazione negli Stati Uniti è esplosa.
BIDEN CANCELLA TRUMP
Di qui è stato giocoforza arrivare a una mossa che potesse allentare la pressione sui prezzi delle materie in arrivo e dunque anche sullo scaffale. La Federal Reserve è prontamente intervenuta nelle settimane scorse e continuerà a farlo, ma potrebbe non bastare. E allora, ecco che l’amministrazione Biden avrebbe deciso di valutare la possibilità di porre fine proprio ad alcuni dazi dell’era Trump sulle merci asiatiche. E questo nel tentativo di controllare l’inflazione. Una conferma è arrivata dal segretario al Commercio, Gina Raimondo, poiché gli americani considerano in questo momento l’aumento dei prezzi uno dei problemi più urgenti del Paese.
Più nel dettaglio, Biden ha chiesto a Raimondo e ad altri funzionari dell’amministrazione democratica di analizzare i possibili piani per revocare alcuni dei dazi sulle importazioni cinesi, mantenendo tuttavia restrizioni su acciaio e alluminio per proteggere l’industria siderurgica nazionale. Ma l’opera di demolizione della politica trumpiana non finisce qui. C’è un’altra decisione dal sapore tipicamente revisionista.
Stavolta il campo di gioco è l’estromissione da Wall Street delle società cinesi in ambito tecnologico e che si rifiutano di aprire i propri libri ai controlli finanziari di Washington. Due giorni fa scadeva il termine per gli investitori americani per liberarsi delle azioni in queste società. Ma ecco il mezzo colpo di spugna. All’ultimo minuto il Tesoro ha deciso che la scadenza non è retroattiva e questo vuol dire che da ora in avanti non sarà più possibile per i cittadini Usa acquistare azioni di suddette aziende. Ma chi le partecipazioni le deteneva già, se le potrà tenere.
IL SOLE DICE USA
Intanto, Washington fa un altro passo in avanti verso le rinnovabili. Come noto, il grosso dell’energia solare è dipendente dalla Cina, soprattutto per la produzione di pannelli. Ma ora Biden ha ordinato misure di emergenza per aumentare le forniture di pannelli solari statunitensi e ha dichiarato un’esenzione tariffaria di due anni sui pannelli solari dal sud-est asiatico.
Lo stesso Dipartimento del Commercio americano ha annunciato a marzo che stava esaminando le importazioni di pannelli solari da Thailandia, Vietnam, Malesia e Cambogia, preoccupato che i prodotti di quei paesi eludessero le regole antidumping statunitensi che limitano le importazioni dalla Cina. Più energia pulita, ma anche maggior rischio di dipendenza tecnologica dall’Asia.