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Il grande obiettivo di Biden non è il petrolio ma il rapporto Israele-sauditi

Per il presidente statunitense il principale successo del viaggio in Medio Oriente sarà l’innesco semi-ufficiale della normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, anche se per formalizzarla ci vorrà tempo, spiega Giuseppe Dentice, head del Mena desk del CeSI

“Ci vorrà tempo” per la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, ha detto il presidente Joe Biden durante un’intervista alla israeliana N12. Il presidente statunitense ha parlato di quello che è effettivamente il centro del suo viaggio in Medio Oriente: l’avvio di un processo di avvicinamento tra i due giganti della regione. O forse sarebbe meglio dire che l’obiettivo è dare un’ulteriore spinta, magari quella definitiva, a certe dinamiche già in corso.

La questione del “tempo” è determinante, secondo Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI, secondo cui non ci sarà un qualcosa di ufficiale finché re Salman resterà sul trono saudita, mentre questo passaggio potrebbero arrivare più rapidamente quando suo figlio, Mohammed bin Salman, gli succederà.

“Re Salman – spiega Dentice a Formiche.net – incarna ancora in sé lo spirito, e il simbolo, di una fase diversa dall’attuale: quella molto novecentesca di battaglie combattute sul campo, quella della Guerra dei Sei Giorni o dello Yom Kippur. Un portato che impedisce una formalizzazione della normalizzazione”.

Però, aggiunge l’analista italiano, questo non significa che non continuerà il flusso dei processi di cooperazione, e gli Stati Uniti cercheranno una “cementazione” di questi punti di contatto.

Quello che sta prendendo vento è un processo storico: Israele non ha formalmente rapporti con l’Arabia Saudita per le divisioni esistenti tra il Paese che custodisce i luoghi sacri dell’Islam e Tel Aviv. Ma una serie di circostanze (dalla crisi guidata dalla pandemia agli effetti della guerra russa in Ucraina, per arrivare alla rivalità con l’Iran) a cui si è aggiunta l’attività di catalizzatore politico/diplomatico degli Stati Uniti, sta cambiando le cose.

Anche semplicemente ottenere un passo verso questa direzione sarebbe un successo per Biden (che non è chiaro quali altri risultati incasserà dal viaggio), e dimostrerebbe che certe attività sugli affari globali possono essere innescate solo da Washington. D’altra parte, l’altra grande potenza attiva nella regione, la Cina, non dimostra ancora capacità e volontà nel farsi coinvolgere su certi dossier; e tanto meno la Russia, che con il viaggio di Vladimir Putin a Teheran della prossima settimana sembra orientata su un’altra narrazione della politica regionale.

“Per Biden – aggiunge Dentice – un risultato nell’avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita è altamente rivendibile anche sul piano della politica interna, in vista delle elezioni di metà mandato. Anche perché, mentre dal punto di vista bilaterale i singoli incontri hanno un contenuto limitato (eccezione fatta per quello con bin Salman, come spiegava Cinzia Bianco su queste colonne, ndr), questa costruzione di un quadro regionale è molto interessante”.

Il livello securitario sarà quello inizialmente toccato (con forme di integrazione dei sistemi di difesa e sicurezza aerea), a questo si unirà il mondo economico-commerciale. Biden volerà a Jeddah venerdì, inaugurando in modo simbolico la rotta che da Israele porta in Arabia Saudita (a cui seguiranno accordi con cui le compagnie israeliane potranno usare i cieli sauditi nei viaggi verso Cina e India).

“Non sottovalutiamo il messaggio che questo invia alla Umma, ossia si manda il segnale ai musulmani di tutto il mondo che anche i fratelli arabo-musulmani di Cisgiordania e Gaza potranno viaggiare direttamente dal territorio israeliano per l’Hajj”, fa notare Dentice.

Israele accetta queste concessioni perché sa che l’Arabia Saudita può essere un partner importante. “Israele vuole rassicurazioni da parte di Washington – continua Dentice – e intese su temi securitari come quelle sugli early warning systems e la protezione dei cieli, o anche la possibilità di accesso degli attori arabi a sistemi e tecnologie israeliane, per certi versi rafforzano la percezione di sicurezza a Tel Aviv”.

Anche all’interno di Israele c’è una necessità di monetizzare la visita dal punto di vista politico interno, visto il momento? “Certamente: Yair Lapid, attuale premier, potrebbe essere interessato a dimostrare agli elettori che tra qualche mese andranno alle urne che lui è un leader affidabile, credibile e ben considerato a livello internazionale, in sostanza che può essere l’alternativa a Benjamin Netanyahu”.

Lapid ha filtrato ai giornali un passaggio con Biden che ha questo senso: “Mi hai detto che se avessi avuto i miei capelli saresti stato presidente degli Stati Uniti, e io ti ho detto che se avessi avuto la tua altezza sarei stato il primo ministro di Israele”. L’israeliano ricordava un loro incontro a Washington di otto anni fa. Netanyahu – a cui Biden ha concesso appena 15 minuti di incontro –da parte sua ha cercato di cavalcare nell’occasione il tema centrale, la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, e ha dichiarato – ringraziando bin Salman per gli sforzi fatti in questo senso – che se dovesse vincere le elezioni, uno delle sue prime iniziativa sarebbe fare “la pace” con Riad.

L’argomento ha un’enfasi chiara, testimoniata anche dal vagone secondario in cui è stata marginalizzata la questione palestinese all’interno della visita – toccata più per dovere, anche mediatico, che per reale volontà. Allo stesso tempo, la costruzione di questa architettura con Israele, ha dei punti delicati, spiega Dentice: “Basta guardare al GCC+ (l’incontro del Consiglio di cooperazione del Golfo allargato a Usa, Giordania, Egitto e Iraq, ndr): per esempio, come ci si comporta nei confronti dell’Iraq? Al di là delle leggi interne che bloccano qualsiasi possibilità di relazione con Israele, la questione crea un problema di sicurezza nazionale vista la grande influenza che l’Iran ha a Baghdad”.



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