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Marcos Jr deve già fare i conti col dualismo Cina-Usa

Le Filippine di Marcos in equilibrio tra Cina e Usa. Manila cerca di bilanciarsi all’interno dello scontro tra potenze nell’Indo Pacifico (e prova vie alternative)

A meno di un mese dal giuramento come presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos Jr. si trova già ad affrontare la sua più spinosa questione di politica estera: la Cina. Quanto succede a Manila è un ottimo paradigma per comprendere alcune difficolta che diversi Paesi dell’Indo Pacifico vivono all’interno del dualismo sempre più forte tra Pechino e Washington. Una questione che riguarda anche altre aree del mondo, come dimostrato durante il recente viaggio del presidente Joe Biden in Medio Oriente, o come raccontano le preoccupazioni di diversi Paesi africani (che Biden sta provando a rassicurare con un grande vertice annunciato per dicembre).

Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è andao a Manila due settimane fa per incontrare il suo omologo di recente nomina Enrique Manalo, e finora Marcos ha steso il tappeto rosso. Il leader filippino, istruito a Oxford da figlio d’arte privilegiato, ha dichiarato in una delle sue primissime uscite sul tema “Cina” di essere aperto a rafforzare la cooperazione militare con Pechino come modo per risolvere la disputa tra i due Paesi sulla sovranità marittima nel Mar Cinese Meridionale.

Non è chiaro cosa questo significhi, ma Marcos sta cercando di ritagliarsi il suo spazio tra il suo predecessore, Rodrigo Duterte, che si era mostrato molto incline alla Cina (anche se corteggiato da Donald Trump), e la precedente amministrazione filo-statunitense, che sei anni fa ha vinto una causa in arbitrato internazionale contro la Cina riguardo proprio alla disputa su una porzione di quelle acque contese – in cui c’è un continuo confronto con le flotte di pescherecci coordinate da Pechino come una milizia marittima.

La posta in gioco è alta per le Filippine, che mentre si trovano costrette a camminare sul filo del rasoio per evitare di inimicarsi sia Pechino che Washington, hanno iniziato a ragionare su dimensioni alternative della propria politica estera. Vedere per esempio l’accordo di cooperazione (anche militare) stretto ad aprile con il Giappone. Qualcosa di simile a quanto fatto dall’Indonesia e dal Vietnam, sempre con il desiderio di non finire fagocitate dal dualismo Russia-Usa. Un livello di coinvolgimento in cui altri attori internazionali come la Cina non intendono applicarsi.

Uno spazio all’interno del quale Tokyo, che per la regione ha sviluppato da tempo una profonda dottrina (in parte adottata anche dagli Stati Uniti e dall’Unione europea), può muoversi come alternativa. Manila mantiene infatti forti legami di difesa con gli Stati Uniti e ciò la rende inclusa in un sistema di partnership pensato da Washington. Soprattutto, gli Stati Uniti sono partner cruciali per Manila nella lotta al terrorismo – come quello della Dawla Islamiyah, gruppo legato all’universo baghadista e attivo nel sud del Paese.

Marcos, erede dell’ultimo dittatore del Paese, sa di dover rispettare i desideri delle proprie complesse collettività, ancora divise – in parte anche dal ventennio autoritario che il padre, Ferdinand Marcos, ha fatto vivere al Paese. C’è una maggioranza di filippini che preferisce apertamente gli Stati Uniti alla Cina – ma Bongbong, come i filippini chiamano il loro nuovo presidente, sa anche che con Pechino ci sono aperte quelle dispute territoriali e che non può guastare i rapporti anche per ragioni di interesse economico-commerciale.

Nei giorni scorsi, Marcos Jr ha ordinato al ministero dei Trasporti di rinegoziare gli accordi di prestito stipulati dal suo predecessore con la Cina per progetti ferroviari del valore di 4,90 miliardi di dollari. Si tratta del lineamento ferroviario Subic-Clark, il progetto a lunga percorrenza delle Ferrovie Nazionali Filippine del Sud e il segmento Davao-Digos del progetto ferroviario di Mindanao. Manila sta esplorando nuove opzioni, anche perché la Cina sembra aver rallentato sulla spinta all’investimento (come in altri all’interno della Belt and Road Initiative).

I negoziati per i progetti ferroviari sono iniziati nel 2018, durante l’amministrazione di Duterte, che intendeva saldare i suoi legami con Pechino mettendo da parte la lunga disputa territoriale sul Mar Cinese Meridionale in cambio di miliardi di dollari di aiuti, prestiti e investimenti promessi, anche per sostenere il programma di infrastrutture (parte dell’azione politica promessa ai cittadini). Il punto sta anche nel rischio di un’esposizione filippina a fenomeni di trappola del debito: il caso dello Sri Lanka è simbolico, ma non è unico.



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