Skip to main content

Lo spazio tredici miliardi di anni fa. Le immagini di Webb fanno la storia

Immagini che riportano indietro nel tempo, al momento della formazione delle prime stelle e galassie. È quanto si vede nelle prime fotografie catturate dal telescopio James Webb, e diffuse dalla Nasa, dall’Agenzia spaziale europea (Esa) e dall’Agenzia spaziale canadese (Csa), che immortalano l’ammasso di galassie Smacs 0723 e altre nebulose

Una foto che ci mostra lo Spazio come non lo abbiamo mai visto. È ciò che è comparso questa mattina sulla pagina Twitter del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Si tratta di “Webb’s first deep field”, la prima delle immagini catturate dal telescopio James Webb, il più grande e potente mai realizzato, nato dalla collaborazione fra Nasa, Agenzia spaziale europea (Esa) e Agenzia spaziale canadese (Csa). La fotografia mostra Smacs 0723, un ammasso di galassie ben visibili che si trovano a circa 4,6 miliardi di anni luce di distanza, mentre i puntini più piccoli presenti nell’immagine risalgono addirittura a 13 miliardi di anni fa, quando la luce delle stelle iniziò il viaggio verso il nostro pianeta. Insieme all’immagine diffusa in anteprima dal presidente Biden, ne sono state diffuse altre nel corso di una presentazione in diretta online organizzata dalla Nasa, sempre con livelli di dettaglio senza precedenti.

Le foto che vanno indietro nel tempo

Smacs 0723 in realtà è stata spesso osservata da altri telescopi, ma nessuno era mai riuscito a immortalarla con una tale definizione. Si tratta di un enorme ammasso di galassie che si trovano a più di quattro miliardi di anni luce dalla Terra, usato dagli scienziati come lente per amplificare la luce delle altre galassie che si nascondono dietro che altrimenti sarebbero troppo poco luminose per essere viste. Mentre nelle altre immagini rilasciate dalle tre Agenzie spaziali sono immortalate: la Nebulosa Anello, una delle più celebri nebulose planetarie distante circa 2mila anni luce dalla Terra; la Nebulosa Carina, una distesa di stelle e gas che include alcuni dei sistemi stellari più massicci e potenzialmente esplosivi della Via Lattea; e il Quintetto di Stephan, il primo gruppo di galassie scoperto nel 1877 dallo studioso francese Édouard Stephan.

La Nebulosa Anello


La Nebulosa Carina


Il Quintetto di Stephan

Un risultato storico

Tale risultato è stato reso possibile grazie agli strumenti sofisticati che si trovano a bordo del telescopio e che hanno dimostrato di funzionare a pieno regime, “Che un oggetto così complesso sia stato lanciato nello spazio e funzioni perfettamente a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, e alla temperatura di soli 40 gradi dallo zero assoluto, è davvero uno straordinario risultato tecnologico”, ha spiegato all’Agi Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica e infrarossa dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Webb indaga la storia dell’Universo profondo così da studiare il suo sviluppo dopo il Big Bang, al tempo di formazione delle prime stelle e galassie, e indagare inoltre la materia oscura. “L’aver puntato il telescopio su un ammasso di galassie ci ha permesso di sfruttare l’effetto di amplificazione della luce – un effetto previsto dalla relatività generale di Einstein – per rendere visibili gli oggetti molto distanti che sono dietro l’ammasso stesso”, ha continuato Fontana.

Il telescopio James Webb

Per costruire James Webb, ci sono voluti sforzi non indifferenti: circa tre decenni, il lavoro di oltre mille persone e 12 miliardi di dollari. Si tratta di un vero e proprio gioiello tecnologico che continuerà a scrutare l’universo con una potenza mai vista finora, neanche dal suo predecessore Hubble, lanciato nello Spazio nel 1990 che ancora non riusciva a vedere nello spettro infrarosso. “Il nuovo telescopio Webb è cento volte più potente di Hubble e riuscirà ad allargare il range dei pianeti osservati grazie al suo potere di assorbire la radiazione che arriva anche da oggetti molto deboli e spingerà sempre più distante i limiti dell’universo osservato”, aveva raccontato ad Airpress Antonella Nota, associate director per l’Esa dello Space telescope science institute che ha lavorato per molti anni alla realizzazione del telescopio. Per Nota “ciò sarà possibile anche grazie alle dimensioni maggiori, i 2,5 metri di Hubble contro i 6,5 metri di Webb; con il suo piccolo specchio Hubble è arrivato a guardare l’universo fino a 400 milioni di anni dopo il Big bang, ma con il suo successore stimiamo di riuscire a vedere fino a cento milioni di anni dalla nascita dell’universo”.

La ricerca sull’origine dell’Universo

Il periodo dai cento ai quattrocento milioni di anni è quello in cui si sono formate le prime galassie; inizialmente piccole, deboli, rosse e irregolari sono molto diverse dalle galassie grandi e organizzate a cui siamo abituati oggi, come Andromeda e la Via lattea. “Studiare i primi trecento milioni di anni e vedere come queste galassie si sono formate ed evolute sarà infatti uno degli obiettivi primari di Webb”, ha spiegato la scienziata. Il telescopio trasmette i suoi dati alla base Nasa di Baltimora e da lì vengono inviati direttamente in Italia, più precisamente in Toscana dove saranno studiati dal Gruppo di ricerca di cosmologia della Normale di Pisa, il cui progetto è stato selezionato tra più di mille proposte provenienti da tutto il mondo. Tuttavia, Webb non indagherà solo le galassie, i potenti occhi spaziali del telescopio sono infatti destinati a studiare anche la nascita delle prime stelle, formatesi intorno ai cento milioni di anni fa, che erano “enormi, molto massicce e con una vita brevissima, per questo motivo sono rare e difficili da vedere ma speriamo nella riuscita del nuovo telescopio”. Anche se, come raccontato da Antonella Nota: “Ciò di più importante che verrà fuori da Webb saranno le sorprese, quelle che non ci aspettiamo in uno spazio infinito di possibilità”.

(Immagini: Nasa, Esa, Csa, and STScI)

×

Iscriviti alla newsletter