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Bandire le telecamere cinesi. Pressing bipartisan su BoJo

Un gruppo di deputati e Lord chiede al governo di vietare la vendita di prodotti Hikvision e Dahua in nome dei diritti umani. Una faccenda tra innovazione e sicurezza che riguarda tutto l’Occidente, Italia compresa

Un gruppo di 67 tra membri della Camera dei Comuni e di quella dei Lord, tra cui il leader libdem Sir Ed Davey, quattro ex ministri tory e diversi esponenti degli altri partiti, ha chiesto al governo britannico guidato dal conservatore Boris Johnson di vietare la vendita e l’uso delle apparecchiature di sorveglianza “made in China” Hikvision e Dahua nel Regno Unito. In Parlamento è ripresa la discussione sulla legge sugli appalti. Un emendamento al disegno di legge, sostenuto da Big Brother Watch, consentirebbe di escludere potenziali fornitori a causa di preoccupazioni relative a violazioni dei diritti umani.

Una recente indagine di Big Brother Watch ha rivelato che molti enti pubblici nel Regno Unito utilizzano telecamere a circuito chiuso prodotte da queste aziende. Tra questi vi sono il 73% dei consigli comunali del Regno Unito, il 57% delle scuole secondarie in Inghilterra e sei enti su dieci del servizio sanitario nazionale, oltre a università e forze di polizia britanniche.

Le richieste di bando, coordinate dalla stessa organizzazione Big Brother Watch, fanno eco al rapporto del Foreign Affairs Select Committee del luglio 2021 in cui si afferma che “le apparecchiature prodotte da aziende come Hikvision e Dahua non dovrebbero essere autorizzate a operare nel Regno Unito”. La commissione ha rilevato che “le telecamere prodotte dall’azienda cinese Hikvision sono state distribuite in tutto lo Xinjiang e forniscono la tecnologia principale delle telecamere utilizzate nei campi di internamento” degli uiguri. Nella sua risposta, il governo ha dichiarato di essere “a conoscenza di rapporti che hanno suggerito legami tra alcune aziende tecnologiche cinesi, tra cui Hikvision e Dahua, e le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang”. Ma finora non ha seguito le raccomandazioni della commissione di bandire i loro prodotti nel Paese.

I parlamentari chiedono di “vietare la vendita e il funzionamento delle apparecchiature di sorveglianza Hikvision e Dahua nel Regno Unito e di condannare il loro coinvolgimento nelle violazioni dei diritti umani perpetrate in Cina grazie alla tecnologia”. Inoltre, chiedono al governo di commissionare una revisione nazionale indipendente dell’uso delle telecamere a circuito chiuso nel Regno Unito.

In un comunicato alla BBC, Hikvision ha rivendicato “il ruolo fondamentale” nel Regno Unito delle telecamere a circuito chiuso “nella lotta contro il crimine e il terrorismo” dicendosi “orgogliosa del ruolo che svolge in questo ambito”. La richiesta di divieto, si legge, arriva da “gruppi marginali” che vorrebbero vedere una massiccia riduzione delle telecamere a circuito chiuso nel Regno Unito e che sono disposti a (…) a mentire per demonizzare Hikvision”. In passato, invece, Dahua ha dichiarato di seguire “tutte le leggi, i regolamenti e le convenzioni locali, nazionali e internazionali applicabili” e ha affermato che “non ha sviluppato e non svilupperà mai soluzioni destinate a un gruppo etnico specifico”.

La partita è decisiva e intreccia innovazione (a partire dall’ancora scottante dossier 5G) ed equilibri globali davanti a quello che già nel gennaio del 2021 Antony Blinken, nel corso dell’audizione di conferma come segretario di Stato davanti alla commissione Affari esteri del Senato degli Stati Uniti, definiva “scontro crescente tra tecno-democrazie e tecno-autocrazie”.

Per esempio, un rapporto pubblicato dallo Swedish Center for China Studies sottolineava il ruolo cruciale dei media del regime di Pechino nel sostenere la cosiddetta “soluzione cinese” alla lotta alla pandemia – quella fatta di raccolta e analisi di big data, telecamere di sorveglianza, tecnologia di riconoscimento facciale e app di tracciamento – definendola una delle più efficienti al mondo. “Il modello di smart city promosso dal partito-stato cinese”, spesso presentato anche come safe city, si legge, “differisce molto da quello dell’Unione europea, in quanto si concentra sulla sorveglianza e la sicurezza pubblica”. Tre i rischi che la tecnologia cinese per le smart city presenterebbe secondo il rapporto svedese. Primo: può “aiutare a rafforzare i sistemi autoritari”. Secondo: “Lo Stato cinese potrebbe ottenere l’accesso ai dati sensibili”. Terzo: “Le infrastrutture critiche potrebbero diventare più vulnerabili”.

Un discorso che riguarda anche l’Italia. Perché? È sufficiente ricordare i termoscanner Dahua installati a Palazzo Chigi o le telecamere Hikvision nelle Procure e (non solo Hikvision) in diverse città italiane (compresa la capitale Roma) – dossier più volte affrontati su Formiche.net.

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