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Missione terre rare. Così la Cina vuole sabotare Biden

Una società di cybersicurezza statunitense ha svelato una campagna di disinformazione, ideata da agenti cinesi, per convogliare dissenso e opposizione all’indirizzo di compagnie minerarie occidentali. L’obiettivo: rallentare il processo di disaccoppiamento dalle forniture cinesi di materiali chiave per la transizione energetica e l’industria della difesa

Dragonbridge: è questo il nome in codice che l’azienda di cybersicurezza americana Mandiant ha conferito all’operazione di disinformazione messa in opera da alcuni agenti cinesi, volta a screditare le attività di compagnie minerarie, tra cui l’australiana Lynas Corporation, impegnate a ricostruire una filiera integrata negli Usa.

Secondo il rapporto diffuso dalla società informatica, un network composto da un migliaio di fake accounts, diffusi su più social media, è stato utilizzato per veicolare dissenso e promuovere una narrativa funzionale “in supporto agli interessi politici della Repubblica Popolare cinese”. L’azienda ha iniziato a monitorare le attività di disinformazione a partire dal giugno del 2019, con un ulteriore espansione delle operazioni a partire dal settembre del 2021.

In questo decorso di tempo, con l’approfondirsi della guerra prima commerciale e poi tecnologica tra Stati Uniti e Cina, il tema della dipendenza americana dalle forniture cinesi di terre rare e di altre materie prime critiche è diventato un tema di forte impatto per la sicurezza nazionale americana. Materiali essenziali per la transizione energetica, ma anche per la base industriale dell’esercito statunitense come rivelato da numerosi rapporti, sono divenuti un dossier cruciale nel contesto della crescente “militarizzazione” delle supply chain e vena scoperta per gli Usa. Già nel 2019 Pechino aveva minacciato di bloccare l’export di questi materiali come arma di ritorsione geopolitica.

Di fronte ad uno scenario di crescente competizione, la necessità di svincolarsi dalle forniture cinesi è diventata impellente, tanto che il Dipartimento della Difesa è intervenuto nel corso del 2020 e del 2021 per finanziare nuovi progetti minerari sul suolo americano. Lynas Corporation, la più grande azienda produttrice di concentrati di terre rare al di fuori dalla Cina, ha infatti in pianificazione la costruzione di un impianto di raffinazione di ossidi di terre rare in Texas, mentre l’azienda americana Usa Rare Earth, proprietaria della miniera di Round Top in Texas, è in procinto di avviare un sito di raffinazione in Oklahoma per la fornitura di ossidi di terre rare pesanti (disprosio e terbio) essenziali per la fabbricazione di molte delle tecnologie impiegate nei sistemi d’armamento dell’esercito statunitense. Anche la compagnia Appia Rare Earths & Uranium Corp è entrata nel mirino della campagna di disinformazione, che questo mese avrebbe scoperto un nuovo giacimento di terre rare nella regione di Saskatchewan, in Canada.

Secondo Mandiant, l’utilizzo di account di falsi cittadini texani è stato volto a raccogliere consensi per organizzare un’opposizione serrata e incitare proteste nei confronti delle attività minerarie di queste società, facendo leva sui presunti rischi a livello ambientale e sanitario che tali operazioni comporterebbero sulle comunità locali. L’obiettivo degli attacchi, inoltre, sarebbe stato anche quello di minare il consenso intorno alla strategia dell’amministrazione Biden, che lo scorso marzo ha deciso di ricorrere al Defense Production Act per spingere, tramite supporti fiscali, ilreshoring di attività produttive legati ai materiali critici e così mitigare la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina.

Il ricorso ad una campagna di sabotaggio di questa portata, seppur sia stata negata da Liu Pengyu, un portavoce dell’ambasciata cinese, come riportato dal sito American Military News, dimostra quanto gli sforzi occidentali per svincolarsi da una delle industrie più strategiche per il futuro siano mal visti dalla Cina in un’ottica di competizione tecnologica. Come rileva Mandiant, “data la continua enfasi del Presidente cinese Xi Jinping su di una ampia, olistica concezione della sicurezza nazionale che raccoglie diversi domini, inclusa la sicurezza informativa e delle risorse, potremmo vedere altri competitori globali delle aziende della RPC presi di mira da operazioni di disinformazione di questo genere”.

Il Dipartimento della Difesa ha rilasciato una nota in cui ha dichiarato apprezzamento “per la diligenza di Mandiant nell’identificare la campagna di disinformazione”, rinnovando gli sforzi del Pentagono per collaborare con l’industria, le agenzie federali e i partner esteri per promuovere supply chain sostenibili, trasparenti e resilienti dei materiali critici, “sia a livello domestico che mondiale”, come di recente confermato con il lancio della Minerals Security Partnership (MSP).

Le conclusioni della società americana fanno intendere come la strada verso una maggiore “sovranità” sulle materie prime critiche sia impervia non soltanto dal punto di vista economico e commerciale, considerando che la Cina detiene un controllo ormai pervasivo su più stadi della catena di fornitura, ma anche per la sostenibilità, in politica interna, dei numerosi progetti in corso di valutazione sul suolo americano ed europeo. La compliance in materia ambientale e sociale di nuovi progetti estrattivi, infatti, rappresenta sì un cavallo di battaglia per la Commissione europea ma anche un possibile boomerang se non difesa da una strategia che possa garantire totale trasparenza e sicurezza di fronte a potenziali intrusioni di questo genere.

“Questa è la prima volta che questa persistente rete sostenuta dal Partito Comunista Cinese […] ha preso di mira un’entità commerciale per scopi strategici”, ha sostenuto Albert Zhang, esperto di cyber security in un rapporto diffuso dall’Australian Strategic Policy Institute questo mercoledì. L’attacco informativo, secondo l’analista, è concepito all’interno “di un ampio sforzo coordinato per minare i tentativi dei paesi democratici di ridurre la dipendenza dalle esportazioni cinesi di terre rare”.

I rischi ambientali legati all’estrazione e raffinazione delle terre rare sono tuttavia reali. Infatti, il dominio della Cina in questa industria (dalle miniere ai magneti) è stato in parte possibile anche per legislazioni in materia di protezione ambientale passive, che ha contribuito (insieme a politiche industriali, incentivi fiscali e giacimenti con concentrazioni mineralogiche favorevoli) ad un dumping nei confronti delle attività occidentali nel corso degli anni 90’ e 2000’.

Non sorprende, pertanto, che le attività di disinformazione si siano concentrate proprio su questo fronte, dal momento che molte delle perplessità degli operatori sulla fattibilità operativa delle miniere e attività industriali a valle negli USA, come in Europa, sono legate agli oneri legislativi che rischiano, in assenza di un chiaro supporto politico, di metterle fuori gioco di fronte alla competizione dei potentati industriali cinesi.

Questo a maggior ragione di un saldo controllo dei prezzi: il nuovo conglomerato industriale, China Rare Earth Group, varato a gennaio 2022, detiene un vero e proprio controllo monopolistico, considerando che, da solo, è responsabile del 62% dell’output globale di terre rare pesanti. Inoltre, il sistema di quote sulla produzione stabilito dalle autorità cinesi rappresenta la presa di ferro del Partito sull’industria: il gruppo Baotou Iron & Steel ha infatti annunciato di recente l’aumento dei prezzi dei concentrati di terre rare di circa il 46%, con conseguenti effetti a cascata sui segmenti della filiera. Senza contare che per soddisfare la crescente domanda interna, i produttori cinesi potrebbero essere indotti a premiare i consumatori interni.

Una sfida, dunque, che si fa multi-dominio e che richiederà sforzi sempre più integrati tra gli operatori del settore, le autorità politiche e le agenzie d’intelligence per una strategia complessiva che tenga conto delle differenti criticità (geopolitiche, ambientali ed economiche) intorno alle terre rare e ai materiali critici.

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