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Chip e industria, postumi da caro-vita dopo la sbornia da Covid

Semiconduttori microchip chip

Dopo l’impennata della domanda dovuta alla pandemia, l’inflazione di oggi si traduce in meno vendite per i chipmaker. Che però sono in piena espansione e forti di immense sovvenzioni statali, per via della sfida geopolitica tra Occidente e Cina

La corsa dell’industria dei microchip – uno dei terreni di lotta più caldi nel confronto globale tra Occidente e Cina – sta subendo un’importante battuta d’arresto. Dopo il boom della domanda e dei guadagni legato alla pandemia, le maggiori aziende del settore si trovano di fronte a una brusca flessione. Proprio nel momento in cui avevano previsto di iniettare centinaia di miliardi per espandere le loro operazioni, anche grazie al supporto dei governi.

Nei giorni passati, quando i chipmaker hanno pubblicato i dati del secondo trimestre, il trend è diventato chiaro. I risultati di Intel erano inferiori alle aspettative del 15%, Nvidia ha registrato un calo annuale di 44%. Micron, uno dei maggiori produttori di chip di memoria, ha avvisato che la domanda sta evaporando rapidamente in molti settori e si aspetta di andare in perdita. Tsmc, il colosso taiwanese, si aspetta di dover compensare la sovrapproduzione fino al 2023. Non va meglio in Cina: secondo i dati del governo della scorsa settimana, la produzione di chip a luglio è crollata del 17%.

Quello dei semiconduttori è un settore avvezzo a crolli ciclici e fluttuazioni estreme. Ma stavolta, secondo gli esperti, è diverso. A partire dalle premesse, ossia la crescita vertiginosa degli scorsi anni, quando la pandemia ha colpito le catene di produzione oltre a far impennare la domanda per i “cervelli” elettronici. Ancora oggi sono case automobilistiche e industrie che non possono contare su una fornitura affidabile di chip. Tutti questi elementi, uniti all’importanza crescente dei semiconduttori per la transizione digitale, sono stati driver potenti per la crescita l’industria.

Poi è arrivata la guerra russa in Ucraina e le conseguenze sulle economie globali, tra inflazione e caro-vita. Il risultato è che oggi ci sono magazzini straripanti di chip per computer e smartphone, la cui domanda è in netto calo per via della riduzione dei consumi: presi dalle bollette e dal costo della spesa, i consumatori comprano meno prodotti tecnologici costosi.

Per questo le spedizioni totali di chip hanno registrato la più grande flessione su base annua dal 1984, secondo Mercury Research. E il trend negativo rischia di mantenersi stabile, man mano che diversi Paesi sfiorano la recessione. Tutto ciò ha costretto diversi chipmaker a tagliare i piani di investimento per espandere la propria capacità produttiva. Nonostante la volontà delle capitali – da Washington a Pechino, passando per Seoul, Tokyo e quelle europee – e le loro sovvenzioni a pioggia per stimolare l’industria.

Il risultato è bizzarro. Da una parte gli analisti di Gartner hanno rivisto al ribasso l’aumento delle vendite di chip di quest’anno rispetto al 2021, e credono che nel 2023 il settore si contrarrà del 2,5%. Dall’altra l’associazione industriale Semi stima che la spesa totale dell’industria aumenterà del 15% rispetto al record precedente, raggiunto nel 2021, e aumenterà ancora nel 2023 – sforando i 120 miliardi di dollari.

In pratica i produttori guadagneranno sempre meno ma spenderanno sempre più. Una scommessa che ha senso se si prevede che il valore dell’industria dei semiconduttori aumenterà sul lungo termine e che un domani le espansioni di oggi ripagheranno aziende e Paesi. Wall Street, ha registrato il Financial Times, rimane di questa idea: il valore delle azioni dei chipmaker si è in gran parte ripreso dopo un netto calo a luglio.

Questo non impedisce a diversi analisti di sospettare che la crisi generale durerà molto di più – e che l’industria dei semiconduttori stia rischiando grosso. Una gran parte degli investimenti statali è diretta a duplicare le catena di produzione, che oggi sono legate inestricabilmente all’Asia, per favorire il reshoring e ridurre il rischio derivante dalle mire cinesi su Taiwan, patria del campione settoriale Tsmc. Ma ci vogliono anni per rendere operative le fabbriche di microchip – e nel frattempo il corso degli eventi potrebbe neutralizzarne i presupposti.

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