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Più yuan, meno dollari. Così Pechino prova a salvare la (sua) moneta

Per ridare linfa a una valuta sempre più debole verso il biglietto verde, la Cina chiede alle grandi imprese di emettere bond esclusivamente in moneta locale e non più in dollari. Intanto dal fronte Fosun arrivano brutte notizie

Basta dare un’occhiata ai grafici per accorgersene. Di quanto lo yuan abbia nei mesi addietro perso valore rispetto al dollaro. Oggi la moneta cinese si apprezza a quota 0,14 sul dollaro, dopo settimane di costante discesa: Uno yuan vale 0,14 dollari americani. Un problema non da poco per una Cina che vuole essere la seconda economia globale pur con una serie di gravi e strutturali problemi, a cominciare dal collasso del mattone, passando per la crisi delle piccole banche, arrivando alle insolvenze dei grandi conglomerati industriali. Tutto questo ha impattato, inevitabilmente, sullo yuan, depotenziandolo.

Ora Pechino ha deciso di provare a raddrizzare il corso degli eventi. E non è certo il primo tentativo, visto che solo due settimane fa la Banca centrale cinese (Pboc) ha imposto agli istituti di ridurre al 6% le riserve in valuta estera, ovvero in dollari. Ora è il turno delle emissioni obbligazionarie. Il governo e le autorità competenti, infatti, hanno chiesto alle grandi imprese statali che emettono bond per finanziarsi, di azzerare le emissioni in dollari in favore di quelle in yuan. Obiettivo, aumentare e stuzzicare la domanda di moneta cinese da parte del mercato, andando a incidere direttamente sul valore.

I primi effetti, sui volumi di emissioni e non ancora sul prezzo dello yuan, già si vedono. L’ammontare delle obbligazioni in dollari emesse è infatti crollato del 46% a 101 miliardi di dollari in poche settimane. Questo dato si confronta con il calo del 25% registrato finora nel 2022 dalle imprese della regione Asia-Pacifico, esclusa la Cina che ha agito solo di recente come detto. L’imperativo è insomma per Pechino evitare e schivare sempre più i mercati del debito in dollari a causa dell’aumento dei tassi d’interesse e della forza del biglietto verde sullo yuan. E dunque sostenere il finanziamento delle imprese a mezzo moneta locale.

La quale è scivolata per diverse ragioni, dai timori per l’inasprimento della politica monetaria negli Stati Uniti, a una crisi energetica sempre più profonda in Europa che hanno rafforzato il dollaro fino ai continui lockdown in Cina, che stanno frenando molto la crescita economica. Nonostante l’intervento della Banca popolare cinese, gli analisti di Goldman Sachs si aspettano che lo yuan scenda ancora, preoccupati per l’appunto dalle continue restrizioni ai movimenti nelle principali città cinesi e dalla profonda crisi del settore immobiliare che incide per il 28% sul Pil della seconda maggiore economia al mondo.

Intanto la vigilanza cinese mette sotto la lente Fosun, dopo aver invitato le banche, come raccontato da Formiche.net, a verificare la loro esposizione verso il colosso cinese, il maggiore conglomerato industriale della Cina. Le azioni Fosun International hanno perso quasi un quinto del loro valore questo mese, dall’annuncio del disinvestimento di un’unità principale. Le azioni, quotate a Hong Kong hanno chiuso mercoledì al punto più basso da dicembre 2012 dopo aver perso il 18% dal 2 settembre, giorno in cui il gruppo ha annunciato il parziale disinvestimento dalla branch farmaceutica. Per ripianare i debiti.

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