Cambia il programma degli Shorts di YouTube, ampliando così il numero di “creators” che potranno ricevere compensi e vivere grazie ai loro brevi video. Si tratta di una mossa per fermare l’espansione dell’app di ByteDance, che è stata sovvenzionata con miliardi e miliardi di dollari da investitori cinesi, e anche per puntare a creare contenuti di qualità e non solo balletti virali che durano il tempo di una moda
Più possibilità per i creators di guadagnare denaro sulla piattaforma. Inizia da qui la rivoluzione con cui YouTube vuole provare a contrastare il dominio di TikTok e, per centrare l’obiettivo, tenta di arrivare laddove l’app cinese ancora non è arrivata. Per sintetizzare la novità introdotta dalla piattaforma video più famosa al mondo, gli utenti registrati al programma Shorts, lanciato un anno e mezzo fa dall’azienda di proprietà di Google proprio per offrire un’alternativa ai brevi video in formato verticale rispetto a TikTok, cominceranno a ricevere compensi dalle pubblicità. Guadagnare dal social network di ByteDance, invece, è molto più complesso e, soprattutto, meno remunerativo.
Secondo le stime offerte da YouTube a giugno scorso, Shorts registra mensilmente 1,5 miliardi di utenti. A dirla tutta, questi già prendevano soldi dai video che realizzavano e pubblicavano sul canale. La differenza sta nel fatto che, mentre prima coloro che pubblicavano brevi video potevano ricevere una retribuzione solo nel momento in cui raggiungevano almeno 1.000 iscritti e 4.000 ore di visualizzazioni, da gennaio prossimo questi standard sono cambiati. Il pubblico rimane lo stesso, ma basteranno 10 milioni di visualizzazioni nei primi 90 giorni dalla pubblicazione e i creators, in quanto membri del Programma Partner, vedranno il 45% delle entrate generate dalle inserzioni sul prodotto.
“È la più grande espansione che abbiamo fatto in diversi anni, creando nuovi modi per i creators di aderire al programma”, aveva dichiarato Amjad Hanif, vicepresidente della gestione dei prodotti e dei contenuti degli iscritti. Al momento, secondo Hanif, la piattaforma ha 2 milioni di creators remunerati, ma si spera che con la novità introdotta questi potranno arrivare a 3 milioni. L’obiettivo è chiaro: evitare che ci sia una migrazione verso TikTok e conquistare chi oggi è ipnotizzato dall’app cinese. Si tratta infatti di due diverse piattaforme video, figlie di epoche differenti, che adesso si contendono un mercato simile. YouTube a fine anni 2000 è stata una delle prime a garantire degli introiti a chi raggiungeva certi livelli di share (nell’ultimo triennio, l’azienda ha sborsato 30 miliardi di dollari) ma l’arrivo di TikTok ha trasformato radicalmente l’offerta.
Tuttavia, l’app più temuta al mondo ha una falla. Comprendere come dividere le entrate in modo equo su un feed prodotto da un algoritmo è davvero complesso. Anche perché non si possono intervallare i video di 15 secondi con pubblicità che ne durano magari dieci. Non è neanche chiaro chi dovrebbe ricevere i soldi di quelle inserzioni, se il creatore del video antecedente o successivo alla pubblicità. Con YouTube, invece, sarà diverso. Supponiamo che una persona qualunque vada su Shorts, guardi dieci video intervallati da due o tre inserzioni: una volta incassati i soldi per quelle pubblicità, la piattaforma li divide con i rispettivi dieci creators dei video.
“Sono orgoglioso di dire che questa è la prima volta che viene offerta una compartecipazione alle entrate reali per video in formato breve su qualsiasi piattaforma su larga scala”, ha dichiarato Neal Mohan, Chief Product Officer di YouTube. “Gli annunci per i cortometraggi sono diversi da quelli in formato lungo”, ha spiegato durante l’evento Made on YouTube. “Pertanto, ogni mese le entrate di tutti quegli annunci Short verranno messe insieme. I soldi andranno a pagare anche i creatori di Shorts, coprendo i costi delle licenze musicali della quota di denaro assegnata al creator”. L’azienda ha anche presentato Creator Music, ancora in fase di elaborazione ma che prevede la possibilità di scegliere e acquistare i brani, inseriti in un catalogo, da mettere all’interno di un video secondo i termini descritti. In questo modo, a guadagnare saranno sia i detentori dei diritti musicali che i creators.
Siamo davanti a una delle prime vere risposte per contenere l’espansionismo di TikTok. Le critiche contro l’app cinese non si fermano solo ai problemi legati alla sicurezza dei dati, alla privacy e al suo essere un potenziale strumento di propaganda cinese, ma anche sulle sue pratiche anticoncorrenziali. Lo aveva sottolineato il fondatore di Snapchat, Evan Spiegel, intervenendo alla ventesima edizione della Code Conference di Beverly Hills. “Il motivo per cui è stato così difficile rispondere per le aziende degli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo, è la portata dell’investimento”, aveva affermato. “Quello che nessuno aveva previsto negli Usa era il livello di investimento che ByteDance ha fatto nel mercato statunitense, e ovviamente in Europa, perché era inimmaginabile. Nessuna startup poteva permettersi di investire miliardi e miliardi e miliardi di dollari nell’acquisizione di utenti in tutto il mondo. Una strategia completamente diversa da quella che qualsiasi azienda tecnologica si aspettava, perché non era guidata dall’innovazione. Si trattava, davvero, di sovvenzionare l’acquisizione di utenti su larga scala”.
In sostanza, quindi, con lauti finanziamenti (molti dei quali da privati cinesi ma non ci sono bilanci pubblici) l’azienda è riuscita a personalizzare quanto più possibile l’algoritmo alle esigenze degli utenti, conquistandone di tantissimi. La sfida di YouTube non si ferma alla conquista degli utenti: garantendo a chi crea contenuti un reddito, si incentiva la produzione di contenuti di qualità, non solo di mini-video virali che durano il tempo di una moda o di una challenge, buoni soprattutto a rimbambire gli utenti e senza un particolare valore aggiunto. Questo concetto, con parole diverse, è stato spiegato da Mohan nel podcast Recode Media con Peter Kafka.
In realtà, anche TikTok paga i suoi creators. Nel 2020, l’azienda aveva annunciato un Creator Fund da 200 milioni di dollari, con l’intento di sfondare quota un miliardo negli Usa e il doppio a livello internazionale, entro l’anno prossimo. Niente in confronto ai 30 miliardi erogati da Youtube nel triennio. Soprattutto, nel momento in cui il Fondo non viene allargato e quindi più creators devono essere pagati, meno questi guadagnano perché c’è meno da spartirsi. È inserendosi in questo buco che YouTube tenta di scavare un tunnel in una montagna che sembrava inscalfibile.