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È arrivato il dossier Mitrokhin 2? L’avviso di Sisci 

Le rivelazioni che arrivano oggi dall’America di un fondo russo di 300 milioni per finanziare politici europei possono essere una bussola per la politica italiana, non semplice resa dei conti sul passato. Italia sa in che mondo vive?

Solo tre settimane fa su queste pagine scrivevamo che con la sconfitta della Russia in Ucraina sarebbero emersi dossier che avrebbero coinvolto politici italiani rei di essere stati al soldo di Mosca, come alla fine della Guerra fredda avvenne con i dossier Mitrokhin. Le rivelazioni che arrivano oggi dall’America di un fondo russo di 300 milioni per finanziare politici europei e le voci insistenti di una partecipazione italiana a questo grande festino confermano ogni timore. Tali annunci arrivano poi dopo la prima grande controffensiva Ucraina, segnale di una importante sconfitta generale della Russia che aprirebbe al dopo Vladimir Putin.

Questi i punti di parallelismo per cui immaginare il dossier che poi è arrivato. Ma qui le similitudini finiscono anche. Il dossier Mitrokhin serviva all’occidente a capire il passato, chi era stato con chi per fare cosa durante lo scontro fra sistemi liberali e comunismo. Questi nuovi dossier sono invece una bussola, una sottile linea rossa per il futuro: chi è affidabile o meno nella costruzione della nuova Europa che emergerà dopo la possibile fine dell’attuale regime putiniano a Mosca e l’inizio di una seconda guerra fredda contro la Cina, che si annuncia molto diversa dalla prima.

La nuova Unione europea post putiniana avrà infatti equilibri diversi dalla prima, come ha notato nei giorni scorsi il guru dei Verdi tedeschi Reinhardt Bütikofer. L’Unione europea fino a otto mesi fa aveva un traino politico ed economico che ruotava intorno all’asse Berlino-Parigi. Tale asse, però, ha sbagliato drammaticamente le previsioni e i comportamenti rispetto all’invasione russa dell’Ucraina. Il concetto di cercare di bilanciare in qualche modo gli Usa, come mercato e come influenza politica, comprandosi il petrolio russo o le produzioni cinesi, è franato come un castello di carte davanti alla realtà. Essa era che Mosca era disposta a giocarsi ogni vantaggio economico per la conquista di un povero vicino, l’Ucraina, e che Pechino poteva ugualmente sacrificare molte fiammelle del suo mercato interno sull’altare ideologico di una guerra al Covid fatta di inutili lockdown.

Di contro Polonia, Baltici, Romania, Paesi nordici, dalla Svezia alla Finlandia, erano molto più attenti all’effettivo sviluppo delle cose e hanno contribuito a guidare l’Europa, in stretto contatto con gli Stati Uniti, nella sua dirittura attuale. Questo implica che Germania e Francia devono riorientarsi molto più attivamente su una linea atlantica e solo così potranno recuperare un po’ di credibilità perduta, come suggerisce proprio Bütikofer.

Ciò crea un contesto diverso per l’Italia al di là di ogni lista di nomi o di conti di politici corrotti e traditori della patria. Significa che si sta costruendo una diga contro chi non vorrà il paese in questa nuova Europa e in questo nuovo confronto con la Cina. Non è semplice atlantismo o anti-atlantismo, ma decidere da che parte il paese vuole stare, con tutte le conseguenze economiche e sociali del caso.

Qui l’Italia sconta colpe antiche. Ci sono due grandi fiumi sotterranei che percorrono la penisola da decenni, entrambi anti americani ma con colori diversi. C’è l’anti americanismo di sinistra, erede di quel Pci legato all’Urss nella Guerra fredda, e c’è l’anti-americanismo di destra erede degli afflati repubblichini che combattevano i GI alleandosi ai nazisti. Entrambi non sono stati mai risolti, ma sono rimasti, come traumi psicologici della gioventù, nascosti sotto il tappeto e pronti a emergere e fare incespicare il viandante a ogni passo malaccorto.

Ci sono colpe americane anche qui? Probabile. Gli Stati Uniti per un trentennio hanno pensato che la politica attenta fosse superflua, che le corse sulle montagne russe degli indici finanziari bastassero a fare ordine nel mondo e che la democrazia non fosse un elaborato alchemico altamente instabile e difficilmente trasportabile, ma quasi una bibita come la Coca Cola che potesse essere trasportata e consumata in lattina sulle ali degli aeroplani a stelle e strisce. Gli americani saranno stati ingenui, ma avevano da gestire il mondo cadutogli addosso all’improvviso sulle spalle e senza tirocini. Oggi viceversa sembra che si preparino ad affrontare il dopo Putin insieme alla guerra in corso. Vedremo se ciò sarà fatto bene o meno.

Ma gli errori degli altri non assolvono l’Italia dai propri. Avere dato gli Stati Uniti per scontati, avere seguito solo il profumo dei soldi e selettivamente le direttive Berlino-Parigi hanno portato allo sbandamento attuale. Esso è generale e qui nessuno è innocente. Ha ragione Stefano Folli che l’annuncio dei dossier sui soldi russi dice con chiarezza che Matteo Salvini, leader della Lega, deve stare fuori dal governo perché quantomeno sospetto di collaborazione con il nemico. Ma si va oltre. I dossier potrebbero mostrare che in passato tutti i partiti e tanti uomini di cultura e giornalisti hanno parlato con tutti (va bene) senza alcun controllo o riserva (va male).

Naturalmente i contatti di ieri, prima della guerra, non sono come i contatti durante la guerra. Ci si può pentire e tornare all’ovile. Quindi, per fare dei nomi, Salvini o Silvio Berlusconi o Giuseppe Conte che nel corso della guerra direttamente o indirettamente hanno preso le difese della guerra di Putin sono oggettivamente un peso per il futuro del paese, al di là che lo abbiano fatto per convinzione intellettuale o corruzione dell’anima.

Qui però l’ultimo giro di vite. Nella scena politica italiana non ci sono innocenti, tutti si erano dati “alla pazza gioia” dello stringere tutte le mani in ogni momento.

Diversamente dalla prima Guerra fredda, dove gli alleati potevano contare su un nutrito gruppo di dissidenti che aveva trascorso l’antifascismo all’estero o nelle biblioteche vaticane, ora manca una classe di “innocenti” che possa davvero riprendere le fila del paese. Gli “innocenti” vanno raccolti ad uno ad uno, come chicchi di grano dispersi in mezzo al loglio.

In altre parole l’Italia che vuole stare nella nuova Unione Europea e all’interno di un mondo che si ridisegna intorno al confronto con la Cina ha pochi pezzi sani su cui girare. Esso sconta la tara intellettuale di non avere capito davvero l’andamento della guerra in Ucraina e il giro degli eventi sulla Cina.

Ancora due giorni fa, tanti a destra o sinistra vedevano la kermesse dello Shanghai Cooperation Organization a Samarcanda come la nascita di una nuova anti-Nato, trascurando la debolezza e le fratture dei partecipanti e non cogliendo il punto principale: che la Cina ha detto educatamente “ciao” alla Russia perché non vuole affogare anch’essa nel disastro ucraino.

Non è certo che il “ciao” cinese basterà alla folla di suoi nemici, ma è importante per capire che il minaccioso asse Mosca-Pechino si è schiantato dopo una partenza peraltro accidentata. La svista italiana sugli eventi però non è un accidente, è colpa di una miopia mai corretta da anni e di cui tutti soffrono, salvo raddrizzamenti improvvisi.

Questa è la tara profonda che minaccia il nuovo governo, qualunque esso sia, in qualunque formazione sia. Ed esso rischia di pesare sui conti fragili del Paese, poiché è la politica che torna a guidare, non semplicemente le somme di bilancio.


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