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In Libano è partita la “rivoluzione contro le banche”

Sempre più banche vengono prese d’assalto da una popolazione esausta, che non ha altra scelta per prendersi i propri soldi. Chiuse tutte le filiali fino a mercoledì, nel timore di nuovi blitz, ma è solo un palliativo per sviare dai problemi reali che stanno affossando il Paese

La chiamano “la rivoluzione contro le banche”, un modo per dire come la pazienza dei libanesi è sempre più al limite. Dopo che mercoledì una ragazza di ventisette anni si è trincerata dentro una filiale di una banca di Beirut armata di pistola (giocattolo) e benzina per chiedere i suoi soldi, altre banche sono state prese d’assalto questa mattina. Alcune in diversi quartieri della capitale: a Tariq Jdide, a Ramlet al-Baida, ad Harma e alla Lebanese Swiss Bank in al-Kafaat. Un’altra ha invece interessato la Byblos Bank a Ghazieh nel sud del Libano. Altre ancora si sono verificate per tutto il Paese. Per evitare che la situazione possa sfuggirgli di mano e per capire come muoversi, il ministero dell’Interno ha pertanto indetto una riunione straordinaria. Una decisione l’ha già partorita l’Associazione delle banche del Paese, chiudendo tutte le filiali fino a mercoledì prossimo.

Le motivazioni sono sempre le stesse: visto che i conti sono congelati da quando è scoppiata la crisi economica di tre anni fa, l’unico modo per ottenere il proprio denaro è la minaccia. In meno di un anno, si erano verificati cinque attacchi di questo genere contro le banche. Quella più clamorosa si è verificata un mese fa, a ridosso di ferragosto, quando un uomo armato di fucile ha fatto irruzione nella Federal Bank di Beirut per chiedere tutti i risparmi che aveva sul proprio conto, pari a 209mila dollari. Parte gli servivano per curare suo padre, ricoverato in ospedale, ma la banca non glieli erogava. Dopo diverse ore, ha deciso di farsi arrestare pur di ottenere 31mila dollari, che sono stati consegnati al fratello.

Non era il primo episodio di questo genere, ma è stata la miccia che ha permesso all’incendio di divampare, come dimostrano le azioni di quest’oggi. La soluzione che propongono le autorità per far fronte a questa situazione, però, appare più come un palliativo piuttosto che come un qualcosa di risolutivo. La situazione in tutto il Libano è diventata ormai difficile da gestire, con l’80% della popolazione che, secondo le Nazioni Unite, vive in povertà. Anche quando potrebbe farlo con maggiore dignità, visto che sul proprio conto in banca possiede cifre considerevoli.

Ciò che lascia perplessi, infatti, è che molti cittadini libanesi avrebbero con che vivere una vita più che rispettosa. Purtroppo, a causa del blocco sui prelievi imposto dalle autorità bancarie, non gli è permesso prelevare i loro dollari. Per di più, quando gli è possibile ritirarli, questi vengono erogati in lira libanese, ormai svalutata al 95%. Al cambio ufficiale, un dollaro equivale a 1,500 lire libanese. In realtà, nei vari punti exchange presenti nelle città, il rapporto è di 1/31.000. L’inflazione a giugno aveva raggiunto il 210%, mentre il prodotto interno lordo reale è crollato del 21,4% nel 2020 e 10,5% l’anno scorso. Nel 2022, dovrebbe contrarsi ulteriormente del 6,5%.

La Banca Mondiale ha inserito la crisi del Libano tra le peggiori degli ultimi centocinquant’anni, le cui cause sono da ritrovare (per la maggior parte) nell’immobilismo e nella corruzione del governo. All’interno del Paese le autorità non vengono più percepite come tali (comprese quelle bancarie, ovviamente) con una sfiducia che accomuna tutti, dalle vecchie generazioni a quelle più giovani su cui il Libano spera di poter costruire il proprio futuro. Alcuni di loro hanno provato a conoscere meglio il mondo delle criptomonete, un po’ per protesta contro il classico settore bancario, un po’ perché le monete digitali permettono guadagni rapidi e non tracciati.

Ma anche le proteste simboliche vanno a sbattere contro la realtà dei fatti, ovvero che il Libano non dispone delle infrastrutture necessarie per sviluppare una propria moneta digitale. Così i libanesi sono passati alle proteste concrete, facendo scattare un campanello d’allarme che non si può più ignorare.



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