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Tasse, Pnrr e bollette. La Melonomics e la sponda di Draghi e Bruxelles

Da Bruxelles arriva un sostanziale via libera al ticket Draghi-Meloni per la scrittura della prossima legge di Bilancio, caldeggiato giorni fa da Guido Crosetto. Ci sarà più tempo per consegnare l’ex Finanziaria e permettere al partito vincitore delle elezioni di inserirvi le proprie proposte, dando peso politico ai provvedimenti. A partire da fisco e caro energia

Ora che la Nota di aggiornamento al Def ha definito il perimetro della prossima manovra (i saldi migliorano, ma il prossimo anno si crescerà meno del previsto, questa la sostanza), bisogna mettersi al lavoro. E senza corsie preferenziali, scrivere la legge di Bilancio dovrà essere un lavoro a quattro mani: da una parte il ministro dell’Economia, Daniele Franco e il suo staff. Dall’altra i tecnici di Fratelli d’Italia, dal momento che Giorgia Meloni si appresta a diventare il prossimo premier.

GIOCO DI SQUADRA SULLA MANOVRA

Un gioco di squadra caldeggiato solo pochi giorni fa da uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, Guido Crosetto e che ora sembra incontrare la sponda, non scontata, dell’Europa. Da Bruxelles è infatti arrivata la rassicurazione: attenderanno la formazione del nuovo esecutivo per concedere all’Italia qualche giorno in più per l’invio della manovra. La scadenza ufficiale è il 16 ottobre ma a questo punto è probabile che si possa aspettare almeno fino al 20. “Il voto in un Paese membro è un accadimento di routine con cui si ha a che a fare nella gestione della politica fiscale. L’Italia formerà un governo e l’Ue è pronta ad aspettare il tempo necessario”, hanno fatto sapere fonti Ue, rispondendo ad una domanda sul possibile ritardo, dato il timing di formazione del nuovo governo, con cui l’Italia potrebbe inviare la manovra a Bruxelles.

BARICENTRO INFLAZIONE

Dall’Europa dunque mano tesa, forse anche sull’onda della ritrovata tranquillità dei mercati (lo spread è sceso a 241 punti base, coi rendimenti sul Btp decennale al 4,6%, dopo il 4,8% dei giorni scorsi). Resta da capire che cosa potrebbe finire nel calderone della Finanziaria. La premessa è la gittata della manovra, che secondo alcune indiscrezioni dovrebbe aggirarsi sui 40 miliardi, euro più, euro meno. Se non altro per consentire all’esecutivo Meloni di avere sufficienti munizioni per disinnescare la mina delle bollette (dal 1 ottobre, giova ricordarlo, scatterà una nuova raffica di aumenti per luce e gas, fino a 320 € al mese per famiglia), nell’attesa che l’Europa trovi la quadra sull’ormai mitologico price cap. Una volta trovato il baricentro, lotta senza quartiere all’inflazione, scatterà l’ora di quella che già molti osservatori hanno ribattezzato Melonomics.

Partendo da una premessa. Dagli analisti internazionali continuano a piovere sull’Italia annunci di recessione. Dopo Fitch, che è arrivata a preconizzare un -0,7% per il nostro Pil 2023, è stato il turno di S&P Global, che ha ipotizzano un -0,1%. Relativamente meno pessimista l’Ocse, che frena al +0,4% la revisione al ribasso delle stime (dal +1,2% di giugno). E su questa linea la stessa Nadef ha fermato il contatore allo 0,6%.

L’ORA DELLA MELONOMICS

E dunque, stop alle promesse, con Meloni che si tiene lontana dal promettere l’aumento delle pensioni minime a mille euro al mese piuttosto che la flat tax al 15% per tutti (due slogan elettorali dei suoi alleati). Nel raccontare quale flat tax vorrebbe, quella sui redditi incrementali, cioè sull’aumento del reddito rispetto all’anno precedente. Operazione che ha un costo non ancora ben definito ma decisamente più alla portata dei conti italiani, stressati da due anni di pandemia e bonus. Altro capitolo, decisamente più sensibile per l’Europa, il Pnrr. Sul quale Fratelli d’Italia ha più volte proposto un mirato aggiornamento alla luce della crisi scaturita dal conflitto in Ucraina e dall’aumento dei prezzi delle materie prime. L’obiettivo sarebbe destinare maggiori risorse all’approvvigionamento e alla sicurezza energetica, liberare l’Italia e l’Europa dalla dipendenza dal gas russo, e mettere al riparo la popolazione e il tessuto produttivo da razionamenti e aumenti dei prezzi.

Non è tutto. Asse portante della proposta del partito uscito vincitore dalle elezioni del 25 settembre, non poteva non essere il fisco. Terreno su cui Meloni e il suo staff, guidato dal responsabile economia, Maurizio Leo, mirano a ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità: riforma dell’Irpef con progressiva introduzione del quoziente familiare, estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100mila euro di fatturato, introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti e progressiva eliminazione dell’Irap. Ancora, cedolare secca al 21% anche per l’affitto degli immobili commerciali in zone svantaggiate e degradate e innalzamento del limite all’uso del denaro contante. E poi, saldo e stralcio fino a 3mila euro per le persone in difficoltà e, per importi superiori, pagamento dell’intera imposta maggiorata del 5% in sostituzione di sanzioni e interessi, e rateizzazione automatica in 10 anni.



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