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Lo spread vota. E i mercati (per ora) non temono Meloni

Una vittoria delle destre non sembra preoccupare più di tanto chi presta all’Italia 400 miliardi di euro all’anno. Il reale cruccio degli investitori è la crisi energetica e la stretta monetaria della Bce, le urne italiane sono percepite come fattori di disturbo marginali. Certo, se il nuovo inquilino di Palazzo Chigi entrasse in collisione con Bruxelles…

Chi ha paura di Giorgia Meloni e Matteo Salvini? Non i mercati, i più grandi finanziatori del debito pubblico italiano, il terzo al mondo ma forse il primo per sensibilità alle incertezze della politica. Non per ora almeno. A meno di una settimana dal voto del 25 settembre che potrebbe portare il centrodestra al governo dopo undici anni, ci si chiede dentro e fuori il palazzo se una sterzata a destra dell’Italia possa rappresentare un problema sul fronte del debito. Roma, come risaputo, emette ogni anno titoli pubblici per circa 400 miliardi, ricavandone quella liquidità necessaria a finanziare la parte di spesa che le entrate non coprono.

REAZIONE O NO?

Lecito dunque porsi il problema di una reazione da parte degli investitori, qualora il nuovo governo, magari con Meloni al posto di Mario Draghi, fosse percepito al di fuori come ostile o poco collaborativo con l’Europa, al punto di mettere nel conto una collisione con Bruxelles sul terreno fiscale, del Pnrr e dei conti pubblici. Nelle settimane scorse, quando le destre erano già in odore di vittoria, erano trapelate alcune indiscrezioni circa un possibile attacco al debito italiano, all’indomani delle urne. Gli hedge fund, motore della speculazione internazionale, si starebbero preparando accantonando munizioni per quasi 40 miliardi di euro da usare contro l’Italia.

Eppure, come è in grado di raccontare Formiche.net, l’umore dentro e fuori il Tesoro è di tutt’altro segno. Dentro il Palazzo delle Finanze permane un certo ottimismo circa la tenuta del debito italiano e nessuno, almeno per il momento, sembra aspettarsi burrasca. A guardare poi i numeri, nei giorni in cui la vittoria della destra si rafforza, lo spread Btp/Bund non sembra dare segni di nervosismo, rimanendo ancorato al di sotto dei 230 punti base e con rendimenti sul Btp decennale di poco superiori al 4%, contro l’1,76% del titolo di riferimento tedesco.

L’OTTIMISMO DEI FONDI

Alcuni fondi contattati da questa testata sposano la linea della cautela. “In questo preciso frangente”, spiega una fonte, “i mercati hanno altro a cui pensare, diciamo altre priorità. Per esempio la crisi energetica, la guerra in Ucraina, il gas e, soprattutto, le strette monetarie della Bce. Questo per dire che i problemi italiani, la possibile vittoria delle destre, sono percepiti in questo momento come marginali. Onestamente mi pare non ci siano i presupposti tecnici ed emotivi per un attacco all’Italia o per una reazione scomposta degli investitori”.

La medesima fonte chiarisce poi un punto. “Il 35% del debito italiano è nelle mani della Bce, il grosso del resto in banche, fondi e assicurazioni. Francoforte non ha intenzione di vendere lo stock italiano e tanto meno banche e assicurazioni. Il flottante esposto alla speculazione è quindi poco, ci sono munizioni scarse insomma, difficile prevedere un selling (vendita, ndr) su larga scala e violento. Certo, se poi il giorno dopo le elezioni il nuovo governo comincia a parlare di flat tax, di riforme in chiara antitesi con l’Europa e collateralmente la Bce alza i tassi di 75 punti base, allora il rischio può anche starci. Ma è tutto da vedere”.

FED E BCE PIÙ VICINE

E proprio sul discorso dei tassi sono intervenuti gli economisti di Generali, per i quali la stagione della politica accomodante è definitivamente accantonata. “Dopo il messaggio molto determinato di Jackson Hole”, si legge in un report, “i mercati si aspettano che la Fed aumenti i Funds rate a 4,5% e la Banca centrale europea i tassi sui depositi al 2,5% nel secondo trimestre del 2023. Si ritiene che la Fed alzi i tassi di altri 75 punti base questa settimana. Ma non solo il picco è più alto, ci si attende inoltre che la banche centrali mantengano i tassi a un livello elevato per un periodo più lungo”.

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