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Il papa, la guerra e la difesa come atto di amore. La riflessione di D’Ambrosio

Dimentichiamo spesso le lezioni della storia. Il nostro discernimento su aggressori e aggrediti è, alcune volte, frettoloso e standardizzato in categorie logore. E così dimentichiamo che c’è un obbligo di giustizia e amore nel proteggere gli oppressi e indifesi anche con le armi, nel caso in cui tutti gli altri mezzi si siano rivelati inefficaci

“Secondo Lei in questo momento bisogna dare le armi all’Ucraina?”. È forse la domanda di diversi di noi; è la domanda che incrocia la campagna elettorale, alcune volte in maniera seria, altre no. Nel nostro caso è la domanda fatta dal giornalista tedesco Rudiger Kronthaler (Ard) a papa Francesco. Egli ha risposto offrendo una piccola ma completa sintesi sulla direttrice concettuale guerra-difesa armata-armi-dialogo-impegno per la pace. È bene riportarla integralmente.

“Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più… La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama. Bisogna anche [considerare] un’altra cosa che ho detto in uno dei miei discorsi: che si dovrebbe riflettere ancora di più sul concetto di guerra giusta. Perché tutti parlano di pace oggi; da tanti anni, da settant’anni le Nazioni Unite parlano di pace, fanno tanti discorsi di pace. Ma in questo momento, quante guerre sono in corso? (…). Poi c’è l’industria delle armi. Questo è un commercio assassino. Qualcuno mi diceva – che capisce le statistiche – che se si smettesse per un anno di fare le armi si risolverebbe tutta la fame nel mondo… Non so se è vero o no. Ma fame, educazione… niente, non si può perché si devono fare le armi. La guerra in sé stessa è un errore, è un errore! E noi in questo momento stiamo respirando quest’aria: se non c’è guerra sembra che non c’è vita. In modo un po’ disordinato, ma ho detto tutto quello che vorrei dire su questo tema della guerra giusta. Ma il diritto alla difesa sì, quello va bene, però bisogna usarlo quando è necessario” (Conf. Stampa del 15.9.22).

Saranno gli storici ad evidenziare il cammino, che la riflessione papale, sta percorrendo, nel quale alcuni elementi sono stati sottolineati più di altri perché il Pontefice – a mio personalissimo avviso – mirava più a ad aprire il dialogo che ad affermare una dottrina sulla “guerra di difesa”, impropriamente ancora detta “guerra giusta”. Da Agostino al Vaticano II, e poi a Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale, è sempre stata moralmente accettabile una difesa armata di un popolo ingiustamente aggredito, purché questa rispetti le condizioni morali, ora riassunte nel catechismo cattolico (CCC, 2309) e richiamate implicitamente da papa Francesco, altrimenti essa diventa “immorale”.

Il ritenere morale la “guerra di difesa” non significa il negare la dottrina sulla pace: non a caso il papa ha ribadito il suo “no” al “commercio assassino delle armi”; la sua ostinazione nel cercare il dialogo, anche quando “puzza”; il suo impegno educativo per una pace autentica e una giusta distribuzione delle risorse.

Dovrebbe destare un po’ di attenzione (pastorale) il fatto che, da febbraio ad oggi, spesso negli ambienti del pacifismo cattolico bastava citare quanto sopra per essere definiti “guerrafondai” o “atlantisti corresponsabili di tanti crimini” o “servi della Nato” e così via. Molte volte mi chiedo se tutto questo è dettato da superficiale ignoranza o da tatticismi politici, almeno a me non molto chiari. Papa Francesco ha anche aggiunto che la difesa con le armi è “una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama”. Se i nostri dibattiti fossero un po’ liberi da pregiudizi e un po’ più onesti, non avremmo molti problemi nell’accettare questo principio: “chi difende, ama”. Del resto se amiamo veramente chi è affidato a noi, soprattutto incapace di difendersi (piccoli, anziani, disabili) facciamo di tutto per difenderli, anche con l’aiuto di altri, e non certamente li abbandoneremmo nelle mani dell’aggressore. Se questo vale per i miei cari perché ciò non vale per gli Ucraini? L’ho chiesto molte volte ad alcuni pacifisti cattolici e mi hanno detto che non era questo il punto. E quale sarebbe questo “punto”?

Forse il “punto” è che dimentichiamo spesso le lezioni della storia e che il nostro discernimento su aggressori e aggrediti è, alcune volte, frettoloso e standardizzato in categorie logore. E così dimentichiamo che c’è un obbligo di giustizia e amore nel proteggere gli oppressi e indifesi anche con le armi, nel caso in cui tutti gli altri mezzi si siano rivelati inefficaci. È il caso, per noi italiani, della Resistenza e lotta al fascismo e nazismo. Leggendo le risposte del papa mi è ritornata spesso in mente l’affermazione di Lorenzo Milani: “Ma in questi anni, cento anni di storia italiana, c’è stata anche una guerra giusta (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa dalle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana”.

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