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Un patto tra imprese e politica nel nome delle competenze. La proposta di Profumo

Il ceo di Leonardo, azienda che nel 2021 ha assunto 3.753 persone, propone di accorciare la catena tra mondo della formazione e aziende. Perché senza competenze non c’è crescita e si rischia di mandare in malora il Pnrr. Il commento a Formiche.net di Michel Martone

Senza competenze non c’è futuro. Figuriamoci ripresa e Pil. L’Italia della grande inflazione e in piena rincorsa per lo sganciamento energetico da Mosca, non può fare certamente eccezione, anzi di giovani bravi e preparati ha quanto mai bisogno. Per questo è l’ora di un patto tra aziende e Stato, affinché quest’ultimo fornisca alle prime gli strumenti necessari per attrarre le migliori competenze sul mercato. Una proposta arrivata da uno dei più importanti manager italiani, Alessandro Profumo, a capo del gruppo dell’aerospazio Leonardo.

E che oggi, dalle colonne del Sole 24 ore ha colto l’occasione per sollecitare la politica, di qualunque colore essa sia, a una grande operazione finalizzata alla creazione di veri e propri poli di attrazione per le competenze. Baricentro, nemmeno a dirlo, le imprese. “Nel 2021”, premette Profumo, “Leonardo ha assunto 3.753 persone, il 54% delle quali in possesso di titoli di studio Stem. Si tratta di professionalità legate alle tecnologie emergenti e disruptive: ingegneria per l’elettrificazione e la propulsione ibrida, esperti di architetture cloud e supercalcolo, specialisti in data science e intelligenza artificiale. In molti casi sono giovani sotto i 30 anni. Con queste persone ci proponiamo di presidiare gli ambiti di competenza strategici per l’azienda e per il Paese e di disegnare le tecnologie nel prossimo decennio. Per Leonardo e non solo, rappresentano l’investimento di lungo periodo più prezioso”.

Bene, anzi non del tutto. Ed è lo stesso manager a spiegare perché. “Si tratta però di una risorsa scarsa, difficile da individuare e attrarre e, ancor più, da trattenere nel medio termine. Lo skill gap più immediato per il sistema industriale del Paese è quello delle capacità ingegneristiche. L’attrazione di queste figure professionali si scontra innanzitutto con un modello in cui permane una cesura nel percorso di carriera fra ricerca pura e in azienda. Semplificando, un ricercatore fa carriera in base alle sue pubblicazioni e alla sua capacità di vincere grant. Il suo impegno in ambito applicativo è per lo più a detrimento del percorso di carriera in ambito di ricerca. Al contrario, il discorso inverso vale per un ricercatore all’interno dell’azienda, i cui focus sono il prodotto e l’innovazione, con poche opportunità di confronto con i suoi peer sulle pubblicazioni. Le logiche di assegnazione del premio Nobel, con un predominio quasi assoluto della ricerca pura, sono esemplificative a questo riguardo”.

Non è finita. “Oltre al tema della riconoscibilità all’interno della propria comunità, vi è il nodo delle risorse economiche e della retribuzione. Un PhD in Italia sconta un gap in termini di disponibilità di fondi, di network e dotazioni tecnologiche con cui portare avanti le proprie ricerche. La sua retribuzione è di gran lunga inferiore rispetto ai suoi peer all’estero, con una prospettiva di carriera molto lenta. Anche in azienda un PhD spesso non trova una collocazione ottimale, scontando anche qui gap organizzativi e retributivi. Il modello dell’impresa italiana manifatturiera è ancora molto orientato alla competitività di costo”.

E allora, si chiede Profumo, “come superare l’inerzia del sistema? Come possiamo evolvere verso un modello più premiante per i nostri giovani ad alto potenziale, che escono da un percorso formativo di alto livello, su cui il Paese ha investito molto, evitando il fenomeno della fuga all’estero a beneficio di altri Paesi? Il primo tassello potrebbe essere quello di sostenere un ecosistema dell’innovazione sempre più aperto, in cui imprese, centri di ricerca, università, condividano progetti di innovazione e programmi di ricerca. In questo senso in Leonardo stiamo portando avanti una progettualità basata su questo modello attraverso i Leonardo Labs, lanciati tre anni fa. I risultati, ad oggi, possono riassumersi in circa 40 pubblicazioni e 120 progetti gestiti, tra interni ed esterni. A fine anno, avremo un organico di oltre 130 ricercatori nei nostri laboratori, con l’obiettivo di arrivare a 200 entro la fine del 2023. Leonardo continua in parallelo a collaborare con più di 90 fra centri di ricerca e Università e, solo lo scorso anno, ha investito 1,8 miliardi di euro in R&S”.

Eppure gli investimenti e progetti di ricerca non bastano. “Le aziende, oltre a continuare a sostenere la filiera della ricerca a partire dalle università in una sorta di continuum, devono essere anche in grado di programmare nel lungo periodo la propria evoluzione e, in base a questa, pianificare i propri interventi formativi e di reclutamento, contando su un dialogo aperto con il sistema formativo. Scuole superiori, Its, università, centri di ricerca e imprese sono il tessuto vitale su cui costruire questo percorso, con l’obiettivo di formare una nuova classe di professionisti dotata di una solida cultura, anche umanistica, e con un bagaglio tecnico-scientifico all’altezza delle sfide della sostenibilità e della trasformazione digitale”.

E ancora, “per poter ragionare in ottica di sistema il primo passo potrebbe essere quello di una mappatura nazionale dei bisogni professionali delle imprese, a partire dai dati già a disposizione a livello territoriale. Sulla base di questa, si potrebbero così costruire partenariati strutturali pubblico-privati per colmare i gap di competenze, orientando la formazione e canalizzando la ricerca”. D’altronde, è la conclusione, “la sfida è quella di creare un nuovo patto delle competenze, in linea con la direzione tracciata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), affinché il Paese dia nuovamente sbocco ai giovani, proceda lungo la strada dello sviluppo tecnologico e garantisca, così, la propria sostenibilità e competitività nel lungo periodo”.

Sulla proposta del numero uno di Leonardo Formiche.net ne ha parlato con Michel Martone, giuslavorista ed ex viceministro del Lavoro. “Mi pare una iniziativa molto importante e centrata, anche e non solo perché il modello Leonardo dovrebbe essere in qualche modo esportato e replicato altrove. Con la firma, lo scorso anno, del contratto collettivo in Leonardo, sono state poste le basi per un modello che può e deve trovare altre sponde. Le competenze sono centrali non solo per la crescita ma anche in ottica Pnrr. Abbiamo visto in questi giorni lo sblocco di risorse aggiuntive, circa un miliardo, per il Fondo competenze, attraverso il decreto Aiuti”, spiega Martone.

Il quale si sofferma sulla questione del raccordo tra imprese e Its. “Gli Its oggi debbono rappresentare il feudo dove far crescere le migliori competenze per la nostra manifattura, dove far germinare le skills da mettere al servizio dell’impresa e far venire fuori le professionalità. In tal senso, una maggior connessione tra Its e imprese è senza dubbio auspicabile”.

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