Nell’incontro con il ministro degli Esteri ucraino, il collega cinese ribadisce che Pechino difende la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi. Continua il lavoro di Xi Jinping per sganciare la sua immagine da quella di Vladimir Putin
Non era previsto dalle agende comunicate ai giornalisti, ma alla fine due giorni fa il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha incontrato il collega ucraino, Dmitry Kuleba, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Unga). E se il faccia a faccia ha un valore in sé, la dichiarazione del cinese ne aumenta esponenzialmente il senso: “Dialogo di pace, integrità e sovranità territoriale di tutti i Paesi”. Ucraina compresa dunque, la cui integrità e sovranità è messa in discussione dall’invasione russa.
Così il ministro cinese ribadisce in modo definitivo, con sullo sfondo le bandiere cinese e ucraina, la linea che la Cina ha scelto di trasmettere durante l’Unga. La volontà di segnare un punto sulla guerra russa in Ucraina, necessaria al leader Xi Jinping per dividere, almeno sul palcoscenico internazionale, il suo destino da quello di Vladimir Putin.
Qualcosa che il cinese ha testato durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) di dieci giorni fa. E non è un caso se Xi abbia scelto di interrompere la reclusione auto-imposta per sicurezza sanitaria (e seguendo la politica “Zero Covid” imposta al suo Paese) con la visita a Samarcanda: quel contesto multilaterale guidato da Pechino doveva servire come piattaforma di rilancio del suo ruolo internazionale.
Ma doveva anche essere un modo per segnare distanze e differenze dalla Russia, sebbene senza rompere la relazione di utilità. E non è un caso se la visita di Samarcanda è stata anticipata da un passaggio di Xi ad Astana: nella capitale kazaka – dove ha evitato un incontro improvvisato con papa Francesco – il leader cinese aveva annunciato “il nostro forte sostegno al Kazakistan nel proteggere la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale, qualsiasi siano i cambiamenti internazionali”.
Un’affermazione che (ora è chiaro, ma era evidente già allora) ha anticipato la linea fornita alle Nazioni Unite sull’Ucraina e serviva a rimarcare sia la visione cinese – il principio della non interferenza e del rispetto reciproco in armonia – sia a staccarsi già dalla Russia. Con Mosca che ha invece una fase tesa con il Kazakistan, in quanto questo si rifiuta di appoggiare l’invasione ucraina, cosa che il Cremlino vorrebbe in quanto individua Astana come un cortile casalingo – al punto che qualcuno dell’establishment russo non ha avuto remore nel ricordare ai kazaki che il fato potrebbe consegnare al loro Paese qualcosa di simile a quel che è stato dato all’Ucraina.
La relazione tra Russia e Cina, che a febbraio (prima dell’avvio dell’invasione) era raccontata come “no limits” dai due leader, ora è segnata da “dubbi e preoccupazioni” (sull’invasione ucraina) per stessa ammissione di Putin – resa pubblica dopo i giorni della Sco. Dubbi e preoccupazioni che in questi giorni non sono stati di certo fugati e risolte, stando alla posizione sull’Ucraina presa dalla Cina in sede onusiana.
Posizione che val la pena ricordarlo è comunque intrisa dalla narrazione anti-occidentale sui dubbi riguardo “alle ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti” (messaggio contro le fantomatiche pressioni Nato sulla Russia) e da sottolineature riguardo alla politica di Kiev di non riconoscimento di Taiwan. “Dobbiamo sostenere la pace e opporci alla guerra”, ha detto il ministro degli Esteri cinese: “Turbolenza e guerra aprono solo il vaso di Pandora”. E ancora: “Chi istiga una guerra per procura può facilmente farsi bruciare. Perseguire la propria sicurezza assoluta può solo minare la stabilità strategica globale”. Parole che servono a evidenziare differenze di approccio anche con l’Occidente, e con l’ordine globale pensato dall’Occidente.
Ma d’altronde la guerra in Ucraina ha indebolito la Russia; destabilizzato l’Eurasia (l’Asia Centrale è in subbuglio, nel Caucaso sono riesplose le tensioni); compattato l’Occidente nell’aiuto congiunto e risoluto a Kiev. Niente di tutto questo è strategicamente utile per la Cina. Una vittoria rapida della Russia sarebbe stata utile per Pechino perché avrebbe distrutto il prestigio dell’Occidente (leggasi Stati Uniti). Ma una lunga guerra d’attrito non è altro che un logoramento per Putin (partner cinese) e va contro la narrazione dell’Occidente in declino.
E per Xi (e per Pechino) l’immagine è un fattore cruciale e strategico. La Cina accusata dei debiti-trappola, delle repressioni nello Xinjiang, della compressione delle libertà a Hong Kong e della volontà di invadere Taiwan, non ha possibilità di rischiare che l’immagine del suo leader venga confusa con quella di Putin – autarca in fase involutiva, paria che bombarda i civili cugini ucraini e che mente al suo popolo, leader debole davanti alla resistenza occidentale, capo di un Paese in tumulto (vessato dalla crisi economica e dall’incapacità di andare avanti in una guerra che solo lui ha voluto e in pochi, mal informati e molto collusi, hanno difeso).
Tra meno di un mese la plenaria del Partito Comunista Cinese dovrà riconfermare a Xi il ruolo di guida del Partito/Stato, marchiando la storia della Cina con il suo nome, e come prevedibile il leader cinese non può rischiare che la sua figura di statista totale (nazionale, internazionale, globale, storico) passi in automatico associata a quella del russo in declino. La Cina è di più, la Cina è il motore di una nuova era – che dovrà essere armoniosa e proficua grazie all’accondiscendenza che tutti gli interlocutori del mondo dovranno mostrare alle volontà di Xi e di chi ne prenderà la pesante eredità.
Per la Russia la Cina è indispensabile quasi vitale per ragioni economiche e di presenza internazionale. Per la Cina la Russia è importante in quanto guarda il mondo con occhi simili e può essere utile come moltiplicatore strategico della narrazione anti-occidentale. Ma solo se resta internazionalmente accettabile e per quanto possibile rispettabile. Questo è il limite delle attuali relazioni, e anche dell’idea che la guerra possa portare Mosca a finire nelle mani di Pechino. (Pechino la vorrà? A che prezzo?).