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Putin attacca Kiev per rappresaglia e infiamma la guerra

Putin non può sembrare debole dopo le controffensive subite e davanti allo scotto dell’attacco al simbolico ponte di Kerč. Per il Cremlino colpire il centro civile di Kiev serve anche a infiammare il lato ucraino e portarlo sulla linea oltranzista che viene criticata da chi in Occidente vorrebbe negoziati. Che Putin dimostra di non voler tenere fino a che non raggiungerà i suoi obiettivi

Dopo appena due giorni dall’affidamento del comando delle operazioni in Ucraina a Sergei Surovikin, generale sanzionato per le brutalità commesse, l’intensità e la violenza degli attacchi russi sembra già aumentare. Questa mattina, per  la prima volta in otto mesi di guerra, il centro cittadino di Kiev è stato colpito da una salva missilistica. Le notizie sono ancora frammentarie, ci sono morti e feriti tra i civili, anche perché la capitale ucraina è distante da mesi dal centro delle battaglie — che la Russia ha spostato verso il Donbas riducendo il fronte offensivo davanti all’incapacità di sfondare su tutto il territorio.

Il generale Surovikin non ha problemi a svolgere e suggerire operazioni spietate. D’altronde fu lui l’artefice materiale, da comandante delle Forze Aerospaziali, della carneficina che — dopo anni di assedio e battaglie — portò alla resa di Aleppo, seconda città siriana distrutta dai russi per conto del regime assadista che non riusciva a liberarla dai ribelli. Successivamente, da capo dell’intero Gruppo di Forza russo in Siria, si è ripetuto a Idlib. Anche in questo momento il regime di Vladimir Putin ha la necessità di mostrare concretamente le sue capacità offensive. In difficoltà sul fronte, con una élite che — partendo dal settore militare — mostra crepe e malcontento, Putin ha subito anche lo scotto dell’attacco al ponte di Kerč.

Quello colpito domenica 9 ottobre da un’operazione ucraina (non è ancora chiaro se da missili, o tramite un’incursione delle forze speciali, o più probabilmente tramite un barchino drone esplosivo), è uno dei monumenti simbolici del puntinismo. Collegamento tra mainland russo e Crimea, serviva a sottolineare con grandiosità (è il più lungo ponte d’Europa) la volontà ferrea con cui Putin conduceva i propri interessi e con cui superava la storia — quel ponte era un progetto che Mosca ipotizzava dal 1904.

Sfregiarlo, con le immagini delle fiamme e della carreggiata a rotaie sfondata e piombata nell’imbocco del Mar d’Azov, significa sfregiare l’immagine di Putin. Che tutto può adesso fuorché farsi vedere perdente, anche perché faticherebbe a sostenere un’ulteriore perdita di immagine. Né dai suoi cittadini (che soffrono il peso della guerra e fiutano le preoccupazioni della sconfitta), né dai suoi partner internazionali (che non vogliono di certo avere a che fare con un perdente; un debole sì, perché conviene, ma un perdente no).

L’attacco a Kiev, Dnipro e Zaporizhzhia, è una conseguenza attesa e per certi versi annunciata. L’intelligence militare ucraina, il GUR, ha fatto sapere di aver avuto informazioni sulle volontà russe di colpire Kiev già a inizio mese. Dunque la pianificazione potrebbe non essere strettamente collegate solo ai fatti di Kerč, che tuttavia potrebbero essere stati la ragione per cui il piano d’attacco ha ricevuto luce verde — è possibile infatti che i russi avessero già tutto pronto sul come e dove colpire, da usare quando sarebbe servito.

La dottrina russa non giustifica l’uso della bomba atomica di fronte al colpo subito a Kerč, pur per quanto importante sia stato. Ma Putin non poteva farlo passare impunito, e non voleva far passare tempo per scatenare la punizione. Colpire Kiev, e infrastrutture critiche nell’occidente del Paese, erano già state indicate per esempio dal deputato russo Pyotr Tolstoy che proponeva  di attaccare “rifugi governativi” e le “strade dalla Polonia”. Tre missili da crociera lanciati da una nave russa nel Mar Nero hanno viaggiato prossimi allo spazio aereo Moldavo prima di colpire nella regione di Odessa.

Testimonianza di come Mosca non intenda trattare fino a che non ha raggiunto l’obiettivo di stabilizzare le quattro regioni annesse recentemente. Regioni che sono per ora in bilico, con Lugansk e Donetsk che subiscono le controffensive al nord-est e Kherson che subisce a sud (con arretramenti di controllo territoriale russo in contrazione giorno dopo giorno da almeno un paio di settimane) e Zaporizhzhia che di fatto è ancora contesa.

Il presidente russo ha per forza necessità di mostrarsi forte e in grado di andare oltre al colpo subito perché è la narrazione di questa guerra — che ancora il Cremlino chiama operazione speciale — che lo richiede. D’altra parte questi attacchi spietati contro i civili aumentano il desiderio di resistere e combattere tra gli ucraini, e questo può essere utile per la componente della narrazione con cui il Cremlino  riesce a sollevare, soprattutto in Occidente, citriche contro l’Ucraina che non intende trattare un negoziato.

Parlando tra le macerie di uno degli obiettivi colpiti a Kiev, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto: “Abbiamo a che fare con i terroristi. Decine di razzi, droni suicidi iraniani. Hanno due obiettivi. Infrastrutture energetiche in tutto il paese. […] L’altro obiettivo sono le persone. Hanno scelto il momento e gli obiettivi per ferire il maggior numero possibile”. Il richiamo ai droni iraniani usati dai russi è anche un messaggio a Israele, che sta entrando in una fase di maggiore attenzione riguardo a ciò che accade in Ucraina. Quei droni, la cui fornitura era stata tempo fa denunciata dall’intelligence statunitense, sono stati usati già da milizie sciite per compiere attacchi simil-terroristici in Medio Oriente.



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