In occasione della presentazione, in diretta su Formiche.net, del nuovo volume del Gruppo dei 20, “Equità e Sviluppo. Un programma di legislatura in un mondo in cambiamento”, Luigi Paganetto traccia un percorso economico per il governo Meloni. Partendo dall’energia, emergenza non risolta, e arrivando alla formazione delle nuove generazioni
Video – la presentazione del volume in diretta dalla Treccani (Roma), 26 ottobre ore 17
Incertezza e insicurezza dominano gli scenari economico-sociali. L’attenzione dei policy-makers è concentrata sulle decisioni da prendere oggi per fronteggiare i problemi del caro bollette, dell’indigenza e della povertà nonché della disponibilità di gas per il riscaldamento e per l’attività produttiva.
La proposta di un “Programma di legislatura su equità e sviluppo” va controcorrente, rispetto all’esigenza di guardare all’immediato, nella convinzione che non si possono fronteggiare i problemi di oggi senza collocarli nel contesto di un mondo in forte cambiamento. La recessione in arrivo sarà severa per l’Europa e, probabilmente, prolungata.
È dal marzo di quest’anno che, nel dibattito avviato su Formiche.net, il Gruppo dei 20 sostiene che “nulla sarebbe più stato come prima” e che ad un’inflazione di tipo strutturale si sarebbe sovrapposta in Europa una recessione severa e persistente per via del cambiamento dei flussi commerciali e finanziari seguiti all’invasione russa dell’Ucraina e del devastante effetto della crisi energetica legata alle forniture di gas.
Questa è la ragione per la quale si assegna una decisa priorità alla politica estera e alle politiche commerciali europee (e in particolare agli accordi preferenziali di commercio), con uno spostamento di attenzione verso l’area del Mediterraneo destinata a riprendere spazio nei traffici commerciali e nelle reti energetiche con un beneficio che dal Mezzogiorno si può estendere a tutto il paese, in particolare all’area trainante che si identifica con il sistema dell’export. Sono importanti, in quest’otttica, anche se insufficienti, i fondi allocati dal Pnrr per i porti e le vie del mare.
La questione è che tutto questo avviene dopo la difficile prova, non ancora del tutto superata, della pandemia. La recessione da tempo annunciata per l’economia europea avrebbe dovuto suggerire interventi più tempestivi ed appropriati alla Bce che aveva considerato temporanea un’inflazione di cui erano piuttosto chiari i caratteri strutturali legati sia all’espansione monetaria del periodo pandemico che ai “colli di bottiglia” presenti nelle catene globali di valore, soprattutto nel settore dell’energia e delle materie prime.
A questo punto i governi nazionali e in particolare il nostro con un debito del 150% di debito pubblico rispetto al Pil, hanno serie difficoltà ad affrontare il doppio problema di un’inflazione affrontata in ritardo dalle autorità monetarie e della recessione rinforzata dall’esigenza di misure monetarie più forti per via del ritardo accumulato. Serve un intervento europeo di dimensione e caratteri simili a quello (NextGenEu) adottato per fronteggiare la pandemia. E nuove regole europee su deficit e debito più flessibili di quelle del Patto di Stabilità.
Oggi l’Europa è riluttante a farlo, ma lo sarà assai meno quando sarà evidente a tutti la difficoltà di uscire dalla stagflazione e a realizzare le politiche necessarie a rimediare alla redistribuzione di reddito causata dall’inflazione.
Anche se i margini di manovra nazionali su energia e recessione sono molto ristretti, ed anche se è impervia la via da adottare, non devono esserci dubbi sulla percezione della natura e del timing degli interventi previsti perché è prioritario ridurre incertezza ed insicurezza e sostenere nell’immediato famiglie imprese con l’avvertenza, che già oggi la spesa in percentuale di Pil per questi sostegni è superiore a quella dei maggiori paesi europei.
Occorre interrompere la politica dei “bonus”, modificare la composizione della spesa nel bilancio pubblico, evitando scostamenti di bilancio e concentrando gli interventi di sostegno esclusivamente sulle piccole imprese energivore e sulle famiglie a più basso reddito. Un bilancio di oltre 1000 miliardi offre molte possibilità d’intervento.
È chiaro che il problema prioritario da affrontare nell’immediato è quello dell’energia sia in termini di costi che di disponibilità. Ci aiuta e va nella direzione giusta la recente decisione europea presa sul terreno difficilissimo sia degli interessi divergenti di Paesi che hanno una dipendenza assai differente dal gas sia dell’esigenza più volte proclamata di assicurare quella parità delle condizioni competitive che sta a fondamento del mercato unico europeo. Ciò è tanto vero che la Commissione ha ricevuto mandato e misurare il peso del costo dell’energia sui conti pubblici dei Paesi membri e di fare un’analisi dei costi e benefici delle misure da adottare nella compensazione del differenziale tra prezzo amministrato e prezzo di mercato.
Il tema per il nostro Paese è quello di chiedere che vengano mobilitate risorse ulteriori come quelle di uno Sure 2, nato per fronteggiare la disoccupazione da covid oppure di attivare prestiti ancora disponibili, perché non utilizzati nel quadro di NextGenEu (circa 200 miliardi) e che sono oggi collocati nel quadro del RePowerEu, dando un pò di flessibilità ai bilanci nazionali. Il tema è dunque quello di puntare su risorse europee da impegnare per diminuire l’impatto delle bollette su famiglie e imprese. Ci serve, in ogni caso, per renderci meno dipendenti dal gas, un piano della transizione ecologica con un cronoprogramma e una strategia delle tappe da realizzare.
Da questo punto di vista vanno adottate subito ulteriori semplificazioni procedurali per consentire l’investimento sulle reti intelligenti oltre che sulle rinnovabili. Rispetto alla riduzione della domanda di gas vanno poi poste in essere politiche che puntino sull’incentivazione dell’elettrico a cominciare dal riscaldamento domestico. Si deve poi investire su ricerca e formazione in materia di tecnologie nucleari per essere pronti nel caso si decida di fare una scelta per l’energia nucleare. Non bisogna dimenticare, comunque, che si tratta di una scelta che non può riguardare un singolo impianto, ma una (impegnativa) scelta di sistema.
L’energia e la transizione ecologica si associano strettamente al tema dell’innovazione. Non c’è “green policy” senza innovazione. E questo è un punto importante perché il nostro maggiore problema è tuttora il ritardo in materia di produttività totale e l’innovazione è il principale motore dello sviluppo.
È un problema che non si risolve senza un forte impegno su precise scelte di politica industriale e, allo stesso tempo, con un forte impegno sull’equità sociale.
In realtà innovazione, green policy ed equità sociale sono un trio inscindibile. Per l’innovazione occorre non soltanto investire, come d’altro canto prevede il Pnrr (industria 4.0) su automazione, intelligenza artificiale e digitale ed inserirsi nei progetti europei sui microchips, idrogeno e intelligenza artificiale. Una grande occasione è rappresentata dalle politiche “green” che impongono un forte investimento sulle nuove tecnologie. Come ci dice l’Ocse l’esigenza di puntare sull’efficienza energetica ha come risvolto necessario una forte ricaduta di innovazione (se non si spreca l’occasione come sta purtroppo accadendo con il superbonus 110%).
E occorre guardare non soltanto alle grandi e medie imprese perché molta è l’importanza dello sforzo per far crescere le piccole imprese e il nostro sistema economico non si è ancora dotato, a differenza ad esempio degli Usa, di un Programma organico a loro favore.
Cosi come occorre aver presente che i maggiori aumenti della Tfp (Produttività totale dei fattori di produzione) si verificano per le principali economie (tranne che per la nostra) nel settore dei servizi e della distribuzione ed è qui che occorre intervenire.
È necessaria una forte spinta a favore della concorrenza che deve essere diretta alla riduzione delle barriere all’entrata/uscita dal mercato, in particolare per i settori dell’energia, del digitale, dell’intelligenza artificiale ma anche e forse soprattutto per i servizi pubblici locali e le procedure di appalto.
Il premio Nobel Phelps, nella sua prefazione al volume, ci ricorda che la crisi che viviamo si manifesta nelle nostre economie, quelle occidentali, dove sono importanti, ormai da decenni, i costi sociali legati al ridursi la crescita della produttività totale e dell’innovazione a cominciare da salari stagnanti, insoddisfazione per le insufficienti opportunità offerte a chi lavora, al di là degli aspetti pecuniari delle retribuzioni. È per questo, dice Phelps, che abbiamo bisogno di una società più inclusiva e dinamica che assicuri spazio alla creatività e all’innovazione necessarie ad una “Good Life” e allo sviluppo. La conclusione è che maggiore inclusione e minori disuguaglianze sociali vanno a braccetto con l’aumento della produttività totale.
L’equità sociale, oltre che nelle scelte redistributive operate con il fisco deve essere realizzata con un diversa allocazione della spesa pubblica che renda accessibili ed equi per tuti i servizi di sanità, scuola e formazione, e pensioni.
Questo significa uno spostamento significativo delle risorse di bilancio così da intervenire, per esempio, sulla riduzione delle file d’attesa per le prestazioni ospedaliere, sulla spesa sanitaria “out of pocket”, su servizi sanitari adeguati al livello territoriale, sulle condizioni atte ad evitare l’uscita anzi tempo dalla scuola dell’obbligo, rendere omogenei i servizi d’istruzione sul territorio, investire sugli asili nido, completare il disegno contributivo del sistema pensionistico. Si tratta di interventi tutti realizzabili anche con l’uso dei fondi del Pnrr.
Anziché discutere di una revisione del Pnrr occorre utilizzarne le risorse tempestivamente ed efficacemente, salvo integrarne l’azione con i fondi del Bilancio pubblico, tenendo presente che la stagflazione che si prospetta porrà questioni che vanno oltre la revisione della spesa per l’assistenza e per il reddito di cittadinanza.
Non è difficile immaginare che con la recessione si creino seri problemi di occupazione e di crisi d’impresa. Qui la scelta deve essere chiara perché serve un Piano del Lavoro che, usando in tempi brevi i fondi del Pnrr, metta in piedi un grande progetto di reskilling, che risponda alla sfida presente nel mondo del lavoro e dell’impresa. Si tratta di rispondere alla sfida della concentrazione della domanda sul lavoro qualificato, e della stagnazione della domanda, fino a ieri prevalente, delle qualifiche intermedie. Allo stesso tempo è cambiata la composizione degli investimenti delle imprese con la prevalenza sugli altri degli investimenti immateriali ed organizzativi. Ed è su questo che si deve intervenire anche attraverso incentivi, come i crediti d’imposta, per le imprese che investono in questa direzione e su attività formative.
Gli Its, Istituti tecnico scientifici, sono al crocevia tra l’istruzione professionale e quella universitaria e rappresentano una scommessa che può diventare vincente per i giovani come lo è già in Francia, Germania e Uk e, allo stesso tempo, contribuire a restituire alla scuola il suo fondamentale ruolo di ascensore sociale. Ma va detto che al di là delle dichiarazioni di principio sull’investimento a favore dei giovani, sarebbe opportuno, come già accade per le donne, che venisse creata una “contabilità della spesa pubblica per i giovani”che ne dia esplicito conto.
Infine, last but not the least, la questione demografica è centrale perché la caduta delle nascite rende indispensabile rinforzare l’offerta di lavoro per evitare, in prospettiva, una caduta del tasso di crescita del Pil. È l’occupazione femminile(oltre all’emigrazione) che rappresenta la risposta più immediata a quest’esigenza.
E dunque, al di la dell’ indubbia necessità di rispondere al Gender Gap del nostro Paese, una linea di policy di grande importanza è quella di ridurre l’impegno di cura di figli ed anziani che è oggi a carico prevalente delle donne realizzando, ad esempio, un forte aumento di asili nido e di servizi di sostegno scolastico.
È chiaro che si tratta di sfide che sono tutte molto difficili da vincere ma è proprio ’questo il momento in cui vanno affrontate, insieme alle difficolta, le opportunità create dal cambiamento in atto, attraverso un programma di legislatura.