I fallimenti sul fronte ucraino e su quello interno stanno esasperando i conflitti tra le alte sfere dell’esercito russo. Ormai il capo del Wagner Group e il dittatore ceceno si scagliano apertamente contro gli artefici della disfatta. Sullo sfondo, le tensioni etniche – già causa di due collassi dell’impero russo – sono in aumento per via della mobilitazione
Se prima c’era il sospetto di frizioni in aumento tra i vertici dell’esercito russo, adesso iniziano a comparire le prime prove tangibili. Negli ultimi giorni stanno emergendo testimonianze, post e video, amplificati dalla comunità Osint (open source intelligence), che attestano l’esistenza di un malcontento diffuso tra le fila dell’esercito russo – e di crescenti rivalità tra i luogotenenti del presidente russo Vladimir Putin, che puntano a sfruttare il caos della ritirata per rinsaldare il proprio potere.
LA MACCHINA DEL FANGO DI PRIGOZHIN
La tensione è tangibile da quando i sostenitori-chiave del presidente russo hanno iniziato a criticare pubblicamente l’operato dello Stato maggiore, in seguito all’avanzata delle truppe ucraine nei territori occupati. Come il cosiddetto “chef di Putin”, Evgheni Prigozhin, che dopo anni ha ammesso di essere a capo dei famigerati mercenari del gruppo Wagner. Lunedì, riferendosi ai leader dell’esercito, Prigozhin ha suggerito di “mandare tutti questi pezzi di spazzatura a piedi nudi con le mitragliatrici direttamente al fronte”.
Nel mentre la critica corre anche attraverso i canali Telegram pro-Wagner, su cui sono circolati post di critica alla gestione dell’esercito. “Appaiono sempre più filmati con i mobilitati abbandonati e indesiderati. La catena di comando è andata persa, le persone impugnano armi che non sono nemmeno registrate a loro nome. […] Ripetiamo ancora una volta che si tratta di una conseguenza di problemi sistemici del Ministero della Difesa e della generale impreparazione della macchina militare a questo tipo di procedure”, recita un post dell’aggregatore di contenuti Rybar.
Questa vera e propria campagna mediatica non è passata inosservata alle autorità moscovite. Mercoledì a Mosca la polizia ha arrestato un dipendente del gruppo mediatico di Prigozhin, l’ultranazionalista Aleksey Slobodenyuk, che gestisce una rete di canali Telegram noti per aver attaccato il generalissimo Sergei Shoigu, il capo della Duma Vjačeslav Volodin. “Quindi una guerra calda tra le élite russe è una realtà a questo punto”, ha commentato il giornalista bielorusso e Fellow di CEPA Tadeusz Giczan. Ma non tutto il dissenso è represso allo stesso modo.
KADYROV CONTRO LO STATO MAGGIORE
Un altro segnale è arrivato sabato, quando Putin ha proclamato l’annessione di quattro regioni ucraine. Contemporaneamente, l’esercito russo ha perso il controllo della cittadina strategica di Lyman, nel Donetsk, una delle regioni annesse. Infuriato dalla notizia e già innervosito da settimane di arretramenti, il dittatore ceceno Ramzan Kadyrov ha esortato Putin a utilizzare “misure più drastiche” – come l’utilizzo di armi nucleari tattiche sul fronte ucraino – e accusato il Generale Alexander Lapin, a capo del Distretto Militare Centrale, di aver sbagliato tutto nella gestione dell’avanzata ucraina.
“Non è una vergogna che Lapin sia mediocre, ma il fatto che sia coperto ai vertici dai dirigenti dello Stato maggiore”, ha sbottato Kadyrov; “non c’è posto per il nepotismo nell’esercito, soprattutto in tempi difficili”. Questa intemerata senza precedenti non poteva avere un destinatario diverso dal Capo di Stato maggiore in persona, il generale Valery Gerasimov.
Il Cremlino, da parte sua, non si è affannato per proteggerlo. “I capi delle regioni russe hanno l’autorità di esprimere il loro punto di vista e di fare valutazioni”, ha dichiarato lunedì il portavoce Dmitry Peskov, invitando a tenere a bada le emozioni. In seguito Kadyrov si è vantato sui social di essere stato promosso a colonnello generale da Putin in persona, anche se la conferma ufficiale non è ancora comparsa.
UNA QUESTIONE ETNICA
Kadyrov è una personalità complessa, ma la gestione del suo rancore è un fattore di interesse strategico interno per il Cremlino. L’impero russo è già caduto due volte a causa dello scontento delle minoranze, e il rischio di creare una situazione simile è detestato da un esperto di storia come Putin. Il leader ceceno guida un gruppo etnico sensibile che sta contribuendo con il sangue alla guerra in Ucraina, mentre le mobilitazioni interessano altre minoranze. Il rispetto che gli viene mostrato è anche un fattore simbolico.
Nel mentre, i tatari di Crimea fuggono dalla Russia verso il Kazakistan per evitare la mobilitazione. Un po’ come sta succedendo con gli ebrei russi. Da mesi comunità come quella buriata vedono i loro figli partire – senza tornare – per il fronte; pare che dai 3 ai 5 mila buriati siano partiti dalla regione del Lago Baykal solo nel primo giorno di mobilitazione, il 21 settembre. Soldati che, come evidenziava Prigozhin, vivono condizioni disastrose: senza cibo, senza armi, in molti si ammalano prima di andare a combattere. E iniziano a circolare i video di quanto sta accadendo, video che esasperano le divisioni culturali, etniche e sociali che sono le reali faglie interne alla Russia.