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Nel fragore di Amburgo, la Cina in silenzio si prende un pezzo di Cambogia

I lavori al porto di Ream proseguono, con la Cina che potrebbe piazzarvi un sistema radar per il controllo dei traffici e degli assetti militari. Pechino nega, ma la base in Cambogia è una necessità strategica. Washington controlla perché teme il precedente

Se l’acquisizione da parte di Cosco del 24,9% di uno dei terminal della HHLA nello scalo di Amburgo ha avuto molta risonanza, procedono con molto meno risolato — ma non con minore intensità e importanza — altre attività cinesi tra i porti internazionali. È il caso per esempio dello scalo di Ream, nella costa centrale della Cambogia.

I lavori di costruzione finanziati dalla Repubblica popolare continuano a trasformare la base navale cambogiana a un ritmo sostenuto, spiega un’analisi satellitare del CSIS preparata nell’ambito dell’Asia Maritime Transparency Initiative. Negli ultimi tre mesi sono stati completati importanti lavori di bonifica, un nuovo molo e diverse nuove strutture. Pechino nega che ci sia un interessamento di carattere militare, ma è del tutto probabile che si tratti di un progetto dual-use coperto da una non nuova segretezza.

Da luglio, al centro della base, sono stati ripuliti oltre 11 ettari di terreno, più o meno il 15% dell’area totale di Ream. È in corso la costruzione delle fondamenta di diversi nuovi edifici. Ad agosto, la Nikkei Asian Review, aveva segnalato che diversi camion carichi di terra erano stati visti allineati vicino alla base e che le attività di costruzione hanno causato un aumento del traffico di mezzi pesanti nei dintorni di Sihanoukville.

La costruzione di un nuovo molo, iniziata a giugno, è stata completata a settembre. “Le chiatte viste al molo in un’immagine del 23 settembre suggeriscono che viene utilizzato per traghettare materiali e attrezzature da costruzione per alleggerire le trafficate vie di comunicazione terrestri”, spiega il think tank. Una draga a conchiglia continua a operare al largo, approfondendo il porto e indicando che potrebbero essere in programma ulteriori bonifiche.

Non solo: due nuovi edifici e le fondamenta di altri otto sono visibili all’estremità settentrionale della base. Nuove costruzioni sono visibili anche lungo il bordo nord-orientale della base, con le prime strutture che iniziano a popolare le radure. Infine, il CSIS segnala che “continuano i lavori di costruzione di diverse strutture all’estremità meridionale della base”.

È molto probabile che nella parte cinese dell’area portuale sia piazzato un modo del sistema di navigazione satellitare BeiDou. Si tratta dell’alternativa Made in PRC del NAVSTAR Global Positioning System (e anche all’europeo Galileo), ed è utilizzato in ambito militare, ma anche civile. Secondo gli analisti dell’intelligence militare statunitense il sistema di posizionamento e navigazione garantisce alle forze cinesi accuratezza centimetrica.

Ream è posizionata appena fuori alla baia di Kompong Son, protetta dal Golfo di Siam, un affaccio altamente strategico verso i lineamenti talassocratici che collegano l’Oceano Indiano al Pacifico. La creazione della base navale cinese — solo il secondo avamposto di questo tipo all’estero, dopo  Gibuti, e il primo nella regione indo-pacifica — fa parte della strategia di Pechino.

Il Partito/Stato ha più volte sottolineato l’intenzione di costruire una rete di strutture militari in tutto il mondo a sostegno delle sue aspirazioni — diventare una vera potenza globale. E questa linea difficilmente sarà modificata dal terzo mandato recentemente ricevuto dal leader Xi Jinping, che percepisce l’Indo Pacifico come la primaria sfera di influenza cinese (mentre per gli Stati Uniti è il primo livello di contenimento dell’ascesa di Pechino).

Quella della Repubblica popolare è un’attività in espansione, che passa dalla militarizzazione degli isolotti lungo le rotte del Mar Cinese e arriva alla costruzione di un network di basi con cui esercitare potenza e deterrenza. In sostanza, ”la Cina vuole diventare così potente che la regione si arrenderà alla sua leadership piuttosto che affrontare le conseguenze del non farlo”, come ha spiegato tempo fa un anonimo ufficiale americano al Washington Post.

Della base di Ream si parla con maggiore insistenza dal 2019, quando il Wall Street Journal pubblicò per primo informazioni sul progetto che ai tempi il governo cinese definì “fake news”. Simile la posizione di Phnom Penh, che da sempre sostiene di essere “fermamente aderente” alla Costituzione nazionale, che non consente la presenza di basi militari straniere sul suolo cambogiano.

C’è infatti anche un dibattito interno, che vede alcuni attori interni non allineati con la possibilità — di fatto offerta dal governo — di ospitare una base straniera. E a maggior ragione quest’anno, in qualità di presidente dell’Associazione regionale delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), la Cambogia vuole evitare di far passare la percezione di essere una pedina di Pechino.

I governi di Pechino e Phnom Penh si sono adoperati per mascherare la presenza dei militari cinesi a Ream, spiegava quel funzionario al WaPo. Per esempio, alle delegazioni straniere che visitano la base è consentito l’accesso solo a luoghi preventivamente approvati. Pare inoltre che durante queste visite, il personale militare cinese della base indossi uniformi simili a quelle della controparte cambogiana o non ne indossa affatto per evitare sospetti da parte di osservatori esterni. Quando l’anno scorso l’attaché militare dell’ambasciata statunitense in Cambogia ha visitato la base, disse che i suoi movimenti erano stati “fortemente circoscritti”.

Va anche ricordato che i primi lavori di ristrutturazione del porto sono iniziati appena dopo che la Cambogia aveva rifiutato l’offerta degli Stati Uniti di pagare per un’attività simile, secondo un rapporto del Pentagono sugli sviluppi militari cinesi dello scorso anno. Questa mossa, stando alla Difesa di Washington, “suggerisce che la Cambogia potrebbe invece aver accettato l’assistenza della [Repubblica Popolare Cinese] per sviluppare la base”. Ossia, Phnom Penh ha scelto la Cina agli Usa, sebbene non sembri intenzionata a chiudere i rapporti con Washington e cerchi di traccheggiare in mezzo a questo crescente dualismo.

L’anno scorso, l’edificio “Joint Vietnamese Friendship”, una struttura costruita dai vietnamiti, è stato trasferito dalla base navale di Ream per evitare sovrapposizioni con il personale militare cinese, per esempio. Cina e Vietnam hanno da tempo relazioni tese, con Hanoi e Pechino che si scontrano da mezzo secolo su rivendicazioni territoriali concorrenti nel Mar Cinese Meridionale, e i vietnamiti che hanno aperto a un miglioramento ulteriore delle relazioni con Washington.

La Cambogia è un Paese piccolo, in una posizione complicata, perché mentre cerca la collaborazione con la Cina vorrebbe avere maggiori partnership con gli altri attori regionali. Ma tutto ciò va parzialmente in contraddizione, è tutto sarà messa a nudo dallo sviluppo della struttura di Ream.

La penetrazione cinese è profonda, tuttavia il Paese cerca di non mostrarsi troppo accomodante agli occhi di Washington e per esempio ha partecipato come “supporter entusiasta” al summit Usa-Asean, organizzato a maggio dalla Casa Bianca. Ha inoltre votato contro la Russia nella varie risoluzioni sull’invasione ucraina.

L’apertura della base in Cambogia è sotto stretta attenzione perché potrebbe essere la prima del genere e dunque creare il precedente. Per Pechino in definitiva è necessaria per una serie di prerogative, non ultima fornire punti nodali alla flotta — che secondo le più recenti analisi del Congressional Research Service statunitense conta già 355 unità (un cinquantina in più degli Stati Uniti).

A qualcosa di simile potrebbe servire l’appoggio militare che la Cina starebbe progettando nelle Isole Salomone. Pechino nega anche in questo caso, sostiene di aver raggiunto con Honiara solo un accordo per la sicurezza. Ma anche riguardo alla militarizzazione delle isola Spratly e Paracel nel Mar Cinese, la Repubblica popolare ha sempre negato ciò che immagini come quelle del CSIS invece mostrano.


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