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Spie cinesi. Ecco perché l’inchiesta Usa riguarda anche l’Italia

Per il dipartimento Giustizia statunitense e l’Fbi le operazioni extra-territoriali della Repubblica popolare cinese rappresentano comportamenti oltraggiosi. Invocano l’unità tra alleati per contrastare le attività criminali, ma in Italia regna ancora il silenzio sulle stazioni di polizia cinesi. Il commento di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders

Il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ha accusato due “presunte spie cinesi” che hanno tentato di interferire con le indagini che le autorità federali stanno portando avanti in merito alle attività di una multinazionale cinese attiva nel campo delle telecomunicazioni. I documenti pubblicati dal dipartimento della Giustizia non riportano il nome dell’azienda oggetto delle indagini, di cui si stanno occupando le autorità giudiziarie di Brooklyn, a New York. Una fonte anonima informata dei fatti ha riferito alla CNN che si tratterebbe del colosso delle telecomunicazioni Huawei.

Il governo cinese ha tentato di interferire con i diritti e le libertà delle persone che si trovano negli Stati Uniti, e di ostacolare un sistema giudiziario la cui missione è proteggere questi diritti, ha dichiarato il procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick Garland, durante una conferenza stampa. “Non ci sono riusciti, e il dipartimento della Giustizia non tollererà alcun tentativo, da parte di qualsiasi governo straniero, di mettere a rischio lo stato di diritto su cui si basa la nostra democrazia: continueremo a difendere i diritti di chiunque si trovi nel nostro Paese, e l’integrità delle nostre istituzioni”, ha detto. “Questi casi mettono a nudo la flagrante violazione delle leggi internazionali da parte del governo cinese, mentre lavora per proiettare la sua visione autoritaria in tutto il mondo, anche all’interno dei nostri confini”, ha dichiarato il direttore dell’FBI, Christopher Wray. “La loro aggressione economica e le loro violazioni dei diritti sono due facce della stessa medaglia. Entrambi violano lo stato di diritto. E uno degli scopi della repressione del governo cinese è rendere più facile rubare la nostra innovazione. Cercano di mettere a tacere chiunque si opponga ai loro furti –aziende, politici, individui – proprio come cercano di mettere a tacere chiunque reagisca alle loro altre aggressioni”, ha aggiunto.

I tre casi concreti annunciati riguardano 13 individui, tra cui membri dell’apparato di sicurezza e intelligence cinese e i loro agenti, accusati di partecipazione in operazioni maligne sul suolo statunitense per conto del governo della Repubblica popolare cinese. Le accuse includono cospirazione per rimpatriare forzatamente cittadini della Repubblica popolare cinese, il tentativo di ostruzione a un procedimento penale (contro Huawei) e cospirazione per agire come agente illegale di un Paese straniero con lo scopo di ottenere informazioni, materiali, attrezzature e assistenza per il governo cinese in modi che favorirebbero gli obiettivi di intelligence della Repubblica popolare cinese.

Meritano attento approfondimento tutti i casi svelati, per le modalità e la tenacia delle interferenze che, come ha ribadito Wray, non si limitano alle operazioni negli Stati Uniti, ma fanno parte di sforzi globali concertati: “Uno dei motivi per cui abbiamo avuto così tanto successo nel schierare i nostri alleati nella lotta contro l’aggressione del governo cinese è che l’ipocrisia di Pechino è davanti gli occhi di tutti […] vedono l’ipocrisia più ampia del Partito comunista cinese: il fatto che mentre afferma di difendere la sovranità e la non-interferenza negli affari di altri Stati, quello che fa in realtà è interferire con i governi sovrani di tutto il mondo ogni volta che ciò fa comodo a Pechino”.

A seguito di questa affermazione sorge però il forte dubbio che non tutti gli alleati si sono del tutto svegliati sulle molteplici minacce interneche rappresenta la Repubblica popolare cinese. Le accuse formalizzate a New York il 20 ottobre contro sette individui coinvolti in azioni di molestie e minacce sul suolo statunitense per conto del governo della Repubblica popolare cinese, nel tentativo di provocare il ritorno di un residente degli Stati Uniti in Cina, sono esattamente le stesse operazioni di “rimpatri involontari” da tempo denunciati anche su queste pagine. Mentre per il procuratore statunitense tali operazioni rappresentano giustamente una “violazione oltraggiosa della sovranità nazionale”, per il nostro pinistero degli Interni sotto il precedente governo la presenza in Italia di (almeno quattro) stazioni di polizia d’oltremare espressamente coinvolti in tali operazioni “non destavano particolare preoccupazione”.

Forse tale affermazione velava un certo senso di imbarazzo visto che troviamo vari resoconti cinesi su come gli accordi per le pattuglie congiunte di polizia italo-cinese ne abbiano favorito direttamente l’istituzione? Leggiamo: nel 2018, per la terza edizione delle pattuglie congiunte, il ministero della Pubblica sicurezza cinese affida le missioni in quattro città italiane al Dipartimento provinciale di Pubblica sicurezza dello Zhejiang – sì, lo stesso dipartimento a cui sono legati le stazioni Qingtian presenti a Roma, Milano e Firenze, aperti proprio nel 2018.

Tra i dieci agenti mandati dallo Zhejiang in Italia: Feng Sibo – a capo della cooperazione internazionale per il Dipartimento di Pubblica Sicurezza –ritratto sorridente durante la cerimonia d’inaugurazione della “stazione di polizia” a Roma, acclamata come “una delle importanti realizzazioni del pattugliamento congiunto sino-italiano”.

Nelle ultime settimane, a seguito delle rivelazioni sull’illegale istituzione di stazioni di polizia cinesi in almeno 30 Paesi e il loro ammesso coinvolgimento in operazioni di rimpatri forzati, un numero crescente di Paesi alleati hanno aperto delle indagini in merito. Si deve sperare che le conferme arrivate dalla straordinaria conferenza stampa statunitense di ieri sera possano spronare anche il nuovo governo italiano ad intraprendere quella strada e di rettificare urgentemente gli errori ingenui del passato.



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