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Altolà all’accordo turco-libico. Perché il Parlamento Ue prende la parola

Le firme tra Ankara e Tripoli sulla Zee tracciano una linea verticale nel Mediterraneo, “dimenticando” le acque di Creta, che appartiene ad uno stato membro di Nato e Ue

Non è dato sapere se la concomitanza con il terzo attacco turco in Siria dal 2016 ad oggi sia casuale o meno, ma la mossa del Parlamento europeo che ha, in sostanza, chiesto l’annullamento dell’accordo marittimo tra Libia e Turchia in ottica energetica segna un punto nuovo all’interno di quel dossier energetico che si distende dai giacimenti nel Mediterraneo alle stanze di Bruxelles e Washington. Gli intrecci, molteplici, devono tenere necessariamente conto anche delle frizioni sul tetto al prezzo del gas e dei quotidiani riverberi della guerra russa all’Ucraina.

Qui Bruxelles

Il Parlamento europeo ha chiesto alle autorità libiche di annullare il memorandum d’intesa siglato nel 2019 sulla delimitazione delle giurisdizioni marittime nel Mar Mediterraneo. Al contempo chiede alle due parti di non applicare alcuna clausola inclusa nel successivo accordo sugli idrocarburi firmato il 3 ottobre di quest’anno, in quanto prevede attività di perforazione illegali nelle zone economiche esclusive di altri Paesi, comprese quelle di Cipro e della Grecia.

Il testo, adottato con 454 voti favorevoli, 130 contrari e 54 astenuti, sottolinea ciò che era stato fatto notare a tutte le istituzioni internazionali, Onu, Nato in primis: ovvero che avallare un accordo simile avrebbe aperto il campo alla contestazione formale di leggi e trattati internazionali in un fazzoletto di acque già gravate da fortissime tensioni.

Qui Ankara

La risposta turca è di sostanziale indifferenza, se non di reazione: lo dimostra la partenza della nave trivella”Abdulhamid Khan” alla volta del Mediterraneo orientale per procedere a nuove perforazioni, come annunciato direttamente dal direttore della Turkish Petroleum Company (TPAO), Melih Khan Bilgin. Dal porto di Tasoutzo, controllato a vista dai nuovi motoscafi drone della marina turca, la nave si recherà “in ogni angolo della Blue Homeland” come ha definito provocatoriamente l’area il numero uno della TPAO.

La sfida alle zee di Grecia e Cipro, e quindi di Ue e Nato, è lanciata mentre proprio la Nato è in questi giorni chiamata in causa da alcuni commentatori vicini al partito di Erdogan che stanno pubblicando alcune analisi sul golpe del 2016 adducendo responsabilità occidentali.

Dallo scorso agosto la Abdulhamid Khan si è trasferita a Yörükler-1, nel Golfo di Antalya, all’interno della piattaforma continentale turca e il presidente turco l’ha definita il simbolo di punta di Ankara nel settore energetico, che si somma alle navi Fatih, Kanuni, Yavuz. Potrebbe verosimilmente essere questo un altro elemento da “leggere” in ottica elettorale visto che si avvicinano per Erdogan le urne del 2023.

Reazioni

Dirette e indirette sono le reazioni alla mossa turca dopo il voto del Parlamento europeo. In primis spicca una nota del Dipartimento di Stato: “La nostra posizione sul sistema S-400 non è cambiata: gli S-400 russi sono incompatibili con l’equipaggiamento della Nato, minacciano la sicurezza della tecnologia della Nato e sono incoerenti con gli impegni della Turchia come alleato della Nato. Questa significativa transazione dalla Russia ha innescato sanzioni CAATSA ai sensi della legge statunitense. Esortiamo la Turchia a non mantenere il sistema. La Turchia è un importante alleato della Nato. Tuttavia, l’acquisizione dell’S-400 contraddice direttamente gli impegni assunti da tutti gli alleati al vertice Nato del 2016 a Varsavia per ridurre la dipendenza dalle attrezzature russe”.

In secondo luogo Grecia e Egitto hanno siglato ieri un accordo che indebolisce di fatto quello contestato da Bruxelles: un memorandum d’intesa sulla cooperazione nei settori della ricerca e soccorso aeronautico e marittimo è stato firmato dal ministro della Difesa greco Nikos Panagiotopoulos e dal ministro della Difesa egiziano Mohamed Zaki.

L’accordo definisce i limiti di giurisdizione e le aree di responsabilità per la ricerca e soccorso tra Grecia ed Egitto, che sono identificate rispettivamente con la Flight Information Region (FIR) di Atene e del Cairo. In sostanza si tracciano precise linee di confine nell’ambito del diritto internazionale lì dove c’è il rischio di un caos normativo e geopolitico per le pressioni esterne.

@FDepalo


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