Il governo di Xi prosegue la penetrazione nei Balcani occidentali con interventi a 360 gradi che coinvolgono infrastrutture, energia, cultura, media e università. Se l’Unione Europea e l’Italia vorranno essere geopoliticamente attivi nella regione, dovranno rintuzzare questi tentativi. Intanto oggi Tajani interviene nelle tensioni tra Serbia e Kosovo
Non c’è solo la guerra in Ucraina in cima alle priorità dei governi europei. Oltre al Mediterraneo, l’Italia ha l’obbligo morale di tenere in debita considerazione un altro versante particolarmente interessante: il costone balcanico, dove vi sono una serie di criticità (stimolate non poco da soggetti esterni) che possono rappresentare, per l’Italia, delle straordinarie opportunità, non solo di business ma di progettualità geopolitica.
Serbia & Kosovo
Uno dei fronti più caldi è quello che riguarda la Serbia e il Kosovo. Truppe serbe sono state posizionate al confine con il Kosovo, a rimarcare una tensione che nessuno fino ad oggi è riuscito a stemperare. La Nato vigila con apprensione, anche perché lo scorso 1 novembre è entrata in vigore la nuova normativa sull’obbligo della reimmatricolazione delle auto con targa serba, che va sostituita con quella kosovara recante il simbolo RKS (dal prossimo 21 aprile prossimo le auto con targa serba non potranno più circolare sul territorio del Kosovo).
Nelle stesse ore però è accaduto un fatto grave: si sono alzati sui cieli serbi in volo aerei caccia MiG-29 dopo che alcuni droni avevano effettuato riprese su due caserme nella zona di sicurezza a ridosso della frontiera con il Kosovo. Inoltre il governo kosovaro aveva promesso di aumentare il commercio con l’Albania e di ridurre al contempo la dipendenza dalle importazioni serbe, ma nella realtà non sta accadendo.
Tensioni
A poco però sono valsi i tentativi europei di rasserenare le cose: l’ultimo ad averci provato è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che chiesto di “accelerare il processo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo”, in occasione del vertice berlinese dedicato ai Balcani occidentali. “La brutale aggressione della Russia contro l’Ucraina ci costringe a unirci per preservare la libertà e la sicurezza in Europa. È tempo di superare i conflitti regionali che ci dividono”, ha detto.
Ma la guerra delle targhe serbo-kosovara cela l’interesse preciso di Mosca, che nel costone balcanico, al pari della Cina, ha interessi e mire: come è noto Serbia, Russia e Cina non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, che è sostenuto dagli Stati Uniti. Negli ultimi mesi la Russia ha consegnato alla Serbia 30 carri armati e 30 veicoli corazzati e le ha venduto i sofisticati sistemi di difesa aerea e dalla Cina sono arrivati elicotteri e droni. Le intelligences europee temono che i mezzi posano essere impiegati nella città di confine di Mitrovica, divisa a metà tra Serbia e Kosovo.
Il presidente della Serbia Aleksandar Vucic ha parlato al telefono con il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Che ha twittato: “Ho assicurato a Vucic e al primo ministro kosovaro l’impegno per la stabilità nei Balcani. Ho informato Palazzo Chigi, facciamo appello alla loro leadership per la moderazione e contro azioni unilaterali. L’Italia è protagonista per la pace”.
Litio in Serbia
La Serbia è anche al centro di una disputa legata alle risorse del suo sottosuolo: secondo il parlamentare dell’opposizione Aleksandar Jovanović Ćuta del partito Insieme, il governo avrebbe ceduto le risorse naturali a players. Il riferimento è a Rio Tinto e al progetto del litio: in sostanza
Rio Tinto sta lavorando all’estrazione del prezioso materiale, fondamentale per le batterie, nell’area della Serbia occidentale, nonostante lo stop sancito nel gennai scorso. Il caso specifico dà la cifra di quale partita sia in corso nei Balcani, ancora una volta alla voce energia. Uno dei leader ambientalisti che sta animando le proteste nel paese, lo stesso Jovanović, ha accusato il governo: “La Serbia è una bomba a orologeria ecologica. Hai dato ai russi il nostro gas e petrolio. Ai cinesi hai dato il nostro rame e oro. Ora un altro predatore ha bisogno di essere placato e il suo nome è Rio Tinto”.
Albania
Un altro soggetto direttamente legato all’Italia è l’Albania, con cui le relazioni commerciali proseguono nell’intensificarsi. Si svolgerà, non a caso in Albania, il prossimo 9 dicembre il vertice europeo dei Balcani: il paese delle aquile è ancora alla finestra nel dossier allargamento. Bruxelles le chiede di intensificare gli sforzi in alcuni settori strategici, come lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione la proprietà privata e le libertà di espressione. Il rischio, però, è che Tirana possa guardare (come in parte ha già fatto) ad altri partners che le assicurano risorse e triangolazioni politiche.
Nelle ultime settimane il paese deve anche affrontare una situazione energetica molto critica, visto che tutte le centrali idroelettriche funzionano a livelli bassi e il consumo di energia è diminuito del 5%. Potrebbero arrivare fondi europei in soccorso, ma il tema vero verte la pratica allargamento: se Bruxelles deciderà di accelerare, l’Albania come anche la Bosnia Erzegovica usciranno dal potenziale cono di azione di players esterni.
Processo di Berlino
Anche alla luce di queste dinamiche, due giorni fa sei leader dei Balcani occidentali hanno firmato tre accordi nell’ambito del processo di Berlino, alla presenza del cancelliere Olaf Scholz, di Ursula von der Leyen e Charles Michel, presenti assieme ai leader di Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania per il vertice del processo di Berlino. Si tratta, come è noto, di un format ideato otto anni fa dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel per rafforzare il riavvicinamento tra gli stati dei Balcani occidentali. Anche per questa ragione si è appena conclusa una visita di Von der Layen nei paesi interessati, quattro giorni in cui il presidente della Commissione Ue ha voluto cementare le relazioni con quei paesi più vicini dell’Unione, uniti in questa fase anche dal dossier energetico, in un’ottica di progressivo distacco dal gas russo.
La tesi geopolitica pre-viaggio (e post invasione russa dell’Ucraina) è che l’Ue non può permettersi di lasciare Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia da sole ad affrontare la crisi energetica.
Bosnia-Erzegovina
Pochi giorni fa la Commissione europea ha proposto al Consiglio europeo di concedere lo status di candidato alla Bosnia-Erzegovina, previa risoluzione di una serie di criticità prima dell’apertura vera e propria dei negoziati di adesione all’Ue. Sul paese però gravitano due spade di Damocle: i conflitti interni e le pressioni di Mosca. Sul primo punto conta molto il peso specifico rappresentato dalle formazioni paramilitari che spingono per difendere Dodik e premere così per la secessione da Sarajevo. Inoltre la fazione croata, che si trova in una regione autonoma, chiede che le vengano riconosciuti più poteri amministrativi e politici. Un quadro che porta allo status quo attuale della Bosnia, interessata dalla crisi più intensa dalla fine della guerra ad oggi, su cui l’occhio russo è particolarmente vigile.
Crisi
La guerra in Ucraina ha peggiorato sensibilmente le condizioni economiche dei sei paesi dei Balcani occidentali: non solo il forte aumento dei prezzi dell’energia ma il rallentamento della crescita globale hanno fatto scattare l’allarme della Banca Mondiale da un lato e l’interesse per chi ha denaro da investire dall’altro.
In primis ci ha pensato l’ultimo Rapporto periodico della Banca mondiale a certificare la crisi. Secondo quando osservato da Xiaoqing Yu, Country Director per i Balcani occidentali alla Banca mondiale, “i governi dei Balcani occidentali stanno attuando le misure necessarie in risposta all’aumento dell’inflazione e alla crisi energetica, ma il loro costo è alto, con un aumento significativo della spesa pubblica”.
Di contro secondo l’ultimo paper China Index, prodotto dalla rete China in the World (CITW) l’influenza della Cina nel costone balcanico continua a crescere. Ovvero il governo di Xi prosegue la penetrazione nei Balcani occidentali con interventi a 360 gradi che coinvolgono infrastrutture, energia, cultura, media e università. Se l’Unione Europea e l’Italia vorranno essere geopoliticamente attivi nella regione dovranno rintuzzare questi tentativi.
@FDepalo