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La mossa di Biden contro 5G e telecamere cinesi riguarda anche noi

L’agenzia per le comunicazioni ha deciso (favorevoli democratici e repubblicani): vietate la vendita e l’importazione di prodotti di Huawei, Zte, Dahua, Hikvision e Hytera. Intanto si scopre che si sono riaperte le porte degli uffici pubblici italiani per i dispositivi “made in China”

L’amministrazione Biden ha vietato la vendita e l’importazione di nuovi prodotti tecnologici venduti da diverse società cinesi, tra cui i colossi delle telecomunicazioni Huawei e Zte, in quanto rappresentano un “rischio inaccettabile” per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Ciò significa che continueranno a essere venduti quelli già in commercio negli Stati Uniti, ma che non ne arriveranno altri.

Bandite anche le apparecchiature prodotte dalle società di videosorveglianza Dahua e Hikvision e di quella delle telecomunicazioni Hytera. Le cinque aziende sono state inserite nel marzo 2021 nella cosiddetta “covered list”, una sorta di lista nera, per ragioni di sicurezza nazionale.

La decisione, spiega la Cnn, rappresenta l’ultimo giro di vite di Washington sui giganti tecnologici cinesi, nel timore che Pechino possa utilizzare le aziende tecnologiche cinesi per spiare gli americani. “Queste nuove regole sono una parte importante delle nostre azioni in corso per proteggere il popolo americano dalle minacce alla sicurezza nazionale che coinvolgono le telecomunicazioni”, ha dichiarato in un comunicato Jessica Rosenworcel, presidente della Commissione federale per le comunicazioni. Tutti e quattro i commissari dell’agenzia, due repubblicani e due democratici, hanno appoggiato la decisione.

La decisione era annunciata da un mese e arriva a poche ore da un’altra scelta: il governo britannico ha deciso lo stop all’installazione di telecamere di sorveglianza “made in China” negli edifici critici dei dipartimenti per ragioni di sicurezza.

Come scrivevamo un mese fa, la decisione dell’amministrazione americana a guida democratica non può che riguardare anche l’Italia, data l’attenzione che gli Stati Uniti pongono sulla sicurezza dello scambio di informazioni tra Paesi alleati. Basti pensare a quanto nei giorni scorsi raccontato da Politico, che ha spiegato come Huawei stia rinunciando all’Europa: il gigante cinese delle telecomunicazioni sta rinunciando ai suoi lobbisti in Occidente, riducendo le operazioni in Europa e mettendo da parte le ambizioni di leadership globale. Il tutto, alla luce delle pressioni di Washington e di un nuovo clima, più ostile, nel Vecchio continente.

La questione, più in generale, tocca il 5G – a fine 2019 il Copasir aveva invitato il governo italiano a bandire i fornitori cinesi – ma anche la videosorveglianza. Sia Dahua sia Hikvision sono ancora disponibili – e largamente diffusi – sul suolo italiano, anche nelle strutture più sensibili. Come raccontato su Formiche.net, Dahua è la compagnia scelta dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte per installare i termoscanner di Palazzo Chigi.

Nelle ultime ore Wired ha rivelato che per le telecamere di videosorveglianza cinesi si sono riaperte le porte degli uffici pubblici italiani, nonostante le pressioni internazionali a isolare Pechino nel campo della tecnologia: modelli prodotti da Dahua e configurati da un’azienda italiana sono stati ammessi nei listini della gara sulla videosorveglianza di Consip, a cui dovranno attingere gli enti pubblici per i loro bisogni nei prossimi anni.

Nella scorsa legislatura un’interrogazione del Partito democratico firmata dai deputati Filippo Sensi e Enrico Borghi chiedeva al governo di alzare l’asticella sulle telecamere cinesi. La strada scelta – almeno per ora – dall’Italia non è quella di escludere determinati fornitori, ma di lavorare in “un contesto di certificazione” delle tecnologie, come ha spiegato Roberto Baldoni, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza. Da luglio, infatti, è attivo il Centro di valutazione e certificazione e nazionale dell’Agenzia per la cybersicurezza che, attraverso i laboratori per i test, è chiamato a valutare la sicurezza e l’affidabilità della tecnologia fornita ai soggetti “essenziali per lo Stato”.



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