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Batterie elettriche e metalli, le promesse dell’economia circolare per l’Europa

La crescente domanda di materie prime critiche per la decarbonizzazione di energia e trasporti continua a preoccupare gli addetti ai lavori. La dipendenza dalle forniture, oltre che aspetti sociali e ambientali legati alle attività minerarie, rendono il ricorso a soluzioni circolari un imperativo. L’Unione europea si muove, ma basterà? Servono investimenti su infrastrutture e formazione manageriale

Nel bel mezzo della Cop27, sulla quale a breve si tireranno le fila tra polemiche sulla scelta della location e tra le difficoltà di un impegno multilaterale credibile, ritornano ancora le parole del segretario delle Nazioni Unite della scorsa Conferenza sui Cambiamenti Climatici, a Glasgow: “Basta con le miniere! Ci stiamo scavando la fossa da soli”. Fu chiaramente una pessima scelta linguistica e forse un segnale di una preoccupante sottovalutazione. A ricordarci la gaffe e a ridosso della nuova Conferenza, a Sharm El-Sheik in Egitto, un gruppo di 270 organizzazioni della società civile – soprattutto da paesi in via di sviluppo – ha voluto riportare l’attenzione su un dato ormai incontrovertibile con una lettera aperta alle élite mondiali riunite alla Cop27.

L’imperativo della decarbonizzazione per salvaguardarci dagli effetti più distruttivi dei cambiamenti climatici richiederà un aumento di 6 volte entro il 2050 della domanda globale di materie prime classificate come “critiche” come litio, cobalto, nickel, terre rare a supporto delle tecnologie rinnovabili. Una corsa all’estrazione che, se non correttamente governata, potrebbe essere pericolosa per le comunità e l’ambiente dei paesi ricchi di risorse (senza contare che, secondo le stime del World Economic Forum, le attività minerarie e di trasformazione contano per circa la metà delle emissioni globali), oltreché diventare, come spesso sottolineato, un nuovo fronte di competizione geopolitica a scapito degli obiettivi climatici. Il mondo “necessità di proseguire la decarbonizzazione” ha scritto il portavoce del gruppo Jean-Claude Katende, “ma mentre scambiamo una tipologia di risorse finite [n.d. combustibili fossili] con un’altra, dobbiamo porre fine agli errori del passato”. In breve, nessuna zona di sacrificio sarà tollerabile in un’ottica di transizione, soprattutto se questa non sarà giusta e sostenibile.

Una posizione politica che vede già risposte concrete, con strumenti di cartello e protezionismo, alla nuova competizione per le risorse abilitanti, come la proposta dell’Indonesia di stabilire un OPEC per i metalli e così incentivare lo sviluppo di filiere interne; mentre dall’altro lato, paesi industrializzati come Germania e Giappone già si attrezzano unilateralmente con accordi e investimenti a guida statale per assicurarsi gli approvvigionamenti. Due forme di “sovranismo minerario” che mal si conciliano con lo spirito della conferenza egiziana, ma che potrebbero incentivare la diversificazione di un mercato assai concentrato e soluzioni di varia natura. Soprattutto per quanto riguarda la supply chain delle batterie elettriche.

Perché non dobbiamo dimenticarci che la corsa alle gigafactory è una competizione tecno-industriale su cui non solo si giocano gli obiettivi climatici – secondo Benchmark Minerals Intelligence, per rispettare gli accordi di Parigi e realizzare un’economia totalmente sostenibile con 300 TWh di batterie al 2050, il target fissato dall’eccentrico Elon Musk, servirà mobilitare dai 3 ai 5 trilioni di dollari di investimenti globali, aumentare le capacità produttive annuali a 67 TWh entro il 2030 e 119 nel 2040 ma soprattutto accrescere di 20 volte l’offerta di litio e nickel, di 5 volte quella di cobalto e 20 volte quella di manganese – ma anche gli equilibri geopolitici del XXI secolo, come ricorda Alessandro Aresu nel suo ultimo libro: “Mappe della tecnologia e mappe della presenza geografica si intrecciano”.

Che fare, dunque? Come riconciliare clima, risorse ed energia senza riprodurre un modello di sfruttamento e conflitto? Le batterie elettriche sono al centro di questo trilemma. L’Unione Europea, che sconta un’evidente posizione di dipendenza sulle catene di fornitura delle materie prime critiche ma che vuole al contempo essere un soggetto industriale nella transizione alle rinnovabili, con investimenti sulle capacità produttive e di trasformazione dei materiali, nel suo Circular Economy Action Plan 2020 aveva tracciato le linee guida per un approccio molto più strategico alla gestione delle batterie e dei flussi di risorse connessi. Temi non a caso al centro della Raw Materials Week, tenutasi questa settimana e promossa da Bruxelles per conciliare le miniere e le menti, ovvero tutti gli stakeholders coinvolti lungo le filiere delle tecnologie green. E che vedranno una sintesi con il già annunciato Critical Raw Materials Act da Ursula von der Leyen lo scorso mese e che vedrà la luce entro il terzo trimestre del 2023.

Se la diversificazione degli approvvigionamenti è una necessità strategica, la sostituzione un tema di innovazione, la circolarità, soprattutto nel settore delle batterie, è percepita sempre più come un’opportunità imminente. L’Action Plan della Commissione europee è da anni incentrato su questo tridente, ma nel contesto odierno la sua implementazione è diventata urgente. La domanda globale di batterie è destinata ad aumentare di circa il 25% all’anno fino al 2030 e l’UE dovrebbe passare, nello scenario più ottimistico, dal 17 al 26% della quota di produzione mondiale. Si prevede infatti che saranno 30 le gigafactory in Europa attive entro il 2035, con evidenti rischi per le forniture se al contempo l’offerta domestica (l’UE produce infatti solo l’1% della domanda di battery metals), sia da attività estrattive che da stock riciclati, non dovesse crescere di pari passo.

Ed è qui che ad aprile 2023, quando verrà approvato dopo l’ultima tranche di discussioni a dicembre, giocherà un ruolo importante il nuovo Regolamento Europeo sulle batterie, come delineato da un rapporto del consorzio italiano Erion Energy. Da una parte verterà a creare un “mercato europeo delle batterie sostenibili”, dall’altra punterà a creare condizioni regolatorie e di mercato per aumentare la capacità di raccolta e riciclo delle batterie, per il loro riutilizzo e al contempo per recuperare litio, nickel e cobalto a partire dai dispositivi a fine vita che entreranno nel flusso auspicabilmente a partire dal 2025. L’ambizioso target di riciclo fissato al 70% e una soglia di utilizzo di materiale riciclato per le batterie prodotte dal 2030 saranno i due meccanismi cardine per una filiera europea circolare, all’interno di quattro modifiche strutturali sui requisiti di sostenibilità, tracciamento, due diligence e gestione a fine vita. Una normativa complessa ma pensata per conciliare le esigenze di tutti gli attori coinvolti, dai produttori ai consorzi di raccolta fino alle istituzioni di monitoraggio, in un’ottica di sicurezza, sostenibilità e competitività dell’industria europea delle batterie. “Il riciclo è stato identificato come un’opportunità chiave per aumentare l’autosufficienza dell’UE in termini di materie prime” prosegue il rapporto, consentendo inoltre di “creare un valore considerevole all’interno dell’economia europea, aumentando i posti di lavoro ed il potenziale di investimento del settore”.

Soluzioni circolari che offriranno un sollievo alla domanda europea solo, e ancora in minima parte, a partire dal 2030. La penetrazione degli EV conterà per il 95% della domanda di batterie, mentre l’accumulo industriale e domestico solo per il 3%. È evidente che lo stock di materiale potenzialmente sfruttabile nei flussi circolari sarà quello dal comparto automotive, con un punto interrogativo che rimane sulla composizione chimica delle batterie in continua innovazione. La normativa dovrà dunque progressivamente allinearsi alle realtà del mercato e settare obiettivi di riciclo più stringenti per aumentare la quota di consumo futura dai materiali secondari.

Considerando le difficoltà di ricorrere al settore minerario domestico per le tempistiche molto dilatate nel tempo – tra costi d’investimento proibitivi e permessi ambientali stringenti, oggi l’Ue copre, a consumi correnti, rispettivamente solo il 10% della domanda interna di cobalto, il 20% di nickel, il 2% di grafite e meno dell’1% di litio secondo le stime della società di servizi ambientali Systemiq – e le ancora carenti capacità di raffinazione dei materiali per gli operatori del settore, un’industria del riciclo consolidata potrà spalmare il rischio delle nuove dipendenze, senza tuttavia risolverlo. Secondo lo studio di Eurometaux ripreso su queste colonne, entro il 2050 l’Europa potrebbe soddisfare tra il 45 e il 65% del suo fabbisogno di metalli dal mercato secondario delle materie prime riciclate.

Per realizzare questo cambio di paradigma, tra nuove infrastrutture per il recupero e il trattamento dei dispositivi a fine vita, pratiche di business innovative, capacità manageriali e investimenti in R&D servirà mobilitare anche l’opinione pubblica, per agire soprattutto sulle abitudini di consumo e, dunque, sulla domanda di batterie.


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