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Tutte le spine della questione migranti. Il punto del prof. Savino

Il docente dell’università della Tuscia, esperto in questioni migratorie: “La proposta del governo, di ricevere solo donne e bambini rimandando indietro gli altri, collide con il dialogo che Meloni ha cercato in Ue. Gli altri Stati hanno i numeri dalla loro: l’Italia, pur essendo tra i Paesi più esposti, non è quello che ha accolto di più in questi anni. Ecco cosa serve per impostare un nuovo e più equo sistema di redistribuzione”

Dopo la sfida sui conti pubblici, il banco di prova per il governo Meloni su cui si gioca una porzione significativa dei buoni rapporti con Bruxelles è la gestione dei migranti. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha detto a chiare lettere che l’Italia si farà carico “solo delle esigenze umanitarie di bambini e donne incinte. La nave Humanity – riporta il Corriere della Sera – potrà rimanere in rada di fronte a Catania ma all’esito della verifica le persone che non rientrano nei requisiti dovranno tornare in acque internazionali”.

Insomma l’idea è quella di far rispettare, come esplicitato dalla premier Meloni, “quello che secondo noi è il diritto internazionale”. Il tema è centrale. Tanto più che a livello comunitario il nostro paese sta lavorando con Germania, Norvegia e Francia per arrivare – dopo il vaglio della Commissione – all’applicazione di un meccanismo di ricollocamento efficace. Ancora siamo in alto mare. E, come spiega a Formiche.net Mario Savino, professore ordinario di diritto amministrativo all’Università della Tuscia, “le proposte avanzate sono giuridicamente fragili”.

Professore, l’impasse della ricollocazione è reale. Come uscirne?

Il programma di ricollocazione datato 2015 non ha prodotto gli effetti sperati, per diverse ragioni anche amministrative. Ora il tema si è riproposto perché i MED5 (Italia, Cipro, Grecia, Malta e Spagna) hanno fatto fronte comune chiedendo una solidarietà effettiva nella gestione dei migranti in arrivo.

Direi una richiesta legittima.

Mario Savino

Sì, specie se si inquadra il fenomeno dal punto di vista dei paesi che affacciano sul Mediterraneo. Tuttavia, anche le proposte del Nuovo Patto sulle migrazioni, avanzate nel settembre 2020 e tuttora in discussione, non affrontano il problema della solidarietà in modo convincente. Per dare maggiore consistenza a quella proposta e sbloccare le negoziazioni sul nuovo Patto, la Francia nel giugno scorso ha promosso un accordo politico sulla ricollocazione a cui hanno aderito 18 Stati membri su 27. A oggi, però, sono state ricollocate poche persone.

Perché, alla luce di questi insuccessi, la proposta del ministro dell’Interno può incontrare ostacoli?

L’idea di Piantedosi è quella di assegnare la responsabilità dell’accoglienza non al primo paese di sbarco, bensì al paese di bandiera della nave ong che effettua il salvataggio. Superando così l’impostazione delle politiche di asilo europee basate sul regolamento Dublino. Ma oltre al tema giuridico, c’è un problema di carattere politico.

Di che natura?

Un tema così complesso non si affronta con un approccio muscolare. Tanto più se davvero si vuole, come affermato da Meloni, impostare un dialogo costruttivo con l’Ue. E poi le statistiche dicono che, anche prima della crisi ucraina, non è l’Italia il paese che accoglie di più. Minacciare di non far approdare le barche nei porti italiani, peraltro, è un’arma spuntata: il “blocco” può durare qualche giorno, ma poi il deterioramento delle condizioni meteo e di quelle sanitarie a bordo autorizza i comandanti delle navi Ong a forzare il blocco ed entrare nel porto di sbarco più sicuro. Porto che, nel Mediterraneo centrale, non può che essere italiano.

Dunque quale potrebbe essere la strada che Meloni potrebbe percorrere per incassare un risultato soddisfacente sul versante migranti?

Occorrerebbe reimpostare la discussione a Bruxelles su questi temi: è già difficile, specie in questo momento. Il nuovo patto è in discussione da oltre due anni e ci sono stati pochi passi avanti. Si tratta di lasciare il machete, mettersi al tavolo della trattativa e costruire una posizione negoziale difendibile agli occhi dei partner europei. Come quella alla quale stava lavorando il MED5, per ottenere un meccanismo di ricollocamento più efficace e, al contempo, procedure di controllo alle frontiere (c.d. screening) che non arrivino a imporre la detenzione su larga scala di decine di migliaia di migranti in arrivo. Per l’Italia e gli altri Paesi mediterranei quello sì, sarebbe un problema.

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