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Manovra d’emergenza. Quei limiti che Meloni (non) poteva superare secondo Nicola Rossi

Intervista all’economista dell’Istituto Bruno Leoni ed ex parlamentare. Questa legge di Bilancio ha delle cose buone, a cominciare dal senso di cautela e responsabilità che la permea. Ma sul fisco la strada è lunga e se si vuole immaginare una riforma degna di questo nome bisogna cominciare a lavorare subito

 

Il governo di Giorgia Meloni ha evidentemente raschiato il fondo delle finanze pubbliche quando si è trattato di dare corpo alla manovra, da lunedì all’esame del parlamento: 32 miliardi, euro più euro meno, tutti o quasi sacrificati sull’altare dell’inflazione e della crisi energetica. Per gli altri capitoli di spesa, fisco e pensioni su tutti, è rimasto poco spazio, 6-8 miliardi al massimo. Ma è proprio questo il punto, dice a Formiche.net l’economista ed ex parlamentare Nicola Rossi: era davvero complicato fare di meglio.

La manovra Meloni-Giorgetti ha finalmente visto la luce e si prepara ad approdare in Parlamento. Molti osservatori ne hanno sottolineato la natura sociale, tutta protesa alla salvaguardia delle famiglie alle prese con il costo della vita. Condivide questa lettura, almeno in parte?

Mi sembra che l’aggettivo appropriato, in questo vaso, sia emergenziale. Dominata cioè dalla emergenza energetica cui sono riconducibili due terzi delle risorse messe in campo. Nel restante terzo ci sono certamente iniziative in campo sociale fra cui, correndo il rischio dell’impopolarità, farei rientrare anche la revisione del reddito di cittadinanza ma non mi sembra quello l’elemento dominante. Basti l’esempio della estensione della fiscalità di vantaggio per le partite Iva.

Su cuneo fiscale e fisco, sono stati fatti piccoli passi in avanti, complice l’impossibilità di fare troppo deficit, sotto forma di un primo taglio al costo del lavoro e una tassa uniforme per i lavoratori autonomi, entro gli 85-90 mila euro. Le sembrano misure centrate e sensate o comunque in una direzione per un fisco meno aggressivo e più equo?

Così come le misure per contrastare i rincari dei prodotto energetici, anche l’intervento sul costo del lavoro rappresenta una diretta e, sotto certi aspetti, obbligata prosecuzione di scelte del più recente passato. L’estensione della fiscalità di vantaggio per le partite Iva, che non ha nulla a che fare con la flat tax, va invece nella stessa direzione già sperimentata dal fisco italiano negli ultimi tempi. Misure specifiche, rivolte a questa o quella categoria di contribuenti che non fanno che rendere ancora più incomprensibile, ingestibile e iniquo un sistema che già lo è abbastanza.

L’Europa si è presa circa un mese per valutare la manovra italiana. Secondo lei dobbiamo aspettarci una qualche forma di promozione o dei mugugni?

La linea di prudenza e di responsabilità che caratterizza la legge di bilancio è, a mio modo di vedere, il tratto più interessante della impostazione di politica economica del governo in carica. Non è ancora chiaro se si tratta di una precisa scelta strategica, ma se così fosse allora si tratterebbe di una novità di grande rilievo dopo un quindicennio circa in cui tutte le forze politiche – quale che fosse il loro colore – hanno considerato la responsabilità fiscale come la peste. Con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi.

Sarebbero?

Negare al Paese qualunque margine di intervento nel momento dell’emergenza. Se i conservatori italiani avessero preso consapevolezza del fatto che la responsabilità finanziaria è la condizione per l’autonomia del Paese, saremmo di fronte ad un fatto politico di notevole importanza.

Rossi, un taccuino per Giorgia Meloni, a buona memoria. Cosa manca nella manovra, che forse avrebbe potuto esserci?

Francamente, ad un mese dall’insediamento del governo e dati i tempi delle procedure europee non credo che si potesse fare di più e anche di molto diverso. Quindi è alle prossime settimane e mesi che bisogna guardare. Il tempo che ci separa dalla legge di bilancio 2024 dovrebbe essere utilizzato fin da subito per avviare un processo serio di revisione della spesa, grande o piccolo che sia il possibile risultato, per definire i contorni di un progetto coerente e finanziariamente sostenibile di una complessiva riforma del nostro sistema fiscale, per individuare le carenze prospettiche del nostro sistema previdenziale, che non riguardano tanto l’età di uscita.

Un menù ricco…

Tutte questioni che richiedono, prima della ovvia valutazione e decisione politica, un approfondimento tecnico per il quale sei-otto mesi non sono molti ma possono anche bastare.

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