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Siria, a trecento metri dall’incidente clamoroso tra Usa e Turchia

Attacchi turchi contro una base dei curdi siriani che ha ospitato le forze anti-Is americane. Al nord della Siria sale la tensione in una partita politico-militare complessa

Gli americani sono infuriati con i turchi, perché un attacco aereo lanciato dai jet di Ankara nell’ambito della nuova offensiva contro i combattenti curdi siriani — “Operazione Spada ad artiglio” — ha lambito le postazioni statunitensi al nord della Siria. Dopo giorni di avvertimenti, in cui il CentCom (il comando regionale del Pentagono che ha il Medio Oriente come AOR) ha avvertito le controparti — alleate Nato — dei rischi tecnici sul campo, le forze speciali Usa che si trovano nel nord siriano hanno visto cadere i colpi turchi a meno di trecento metri da loro.

Quei militari americani — appartenenti a unità di élite come Delta Force, Rangers e Green Berets — sono nella zona da anni, dunque era impossibile che i turchi non sapessero dove andavano a colpire. L’acquartieramento dal 2014 è servito per lanciare le operazioni anti-terrorismo (2015-2017) che hanno disarticolato la dimensione statuale del Califfato. Una manciata di unità (meno di mille tra team operativi e logistica) sono rimasti sia per continuare le attività contro i baghdadisti, anche fornendo assistenza tecnica e training alle unità curdo-siriane locali, sia per mantenere un piede in un territorio — la Siria — che russi e iraniani hanno trasformato in una loro piattaforma strategico-tattica nel Mediterraneo.

Ankara trova deplorevole da sempre che gli Stati Uniti abbiano scelto i curdi siriani come partner operativi contro lo Stato islamico, perché per la Turchia sono terroristi, amici di sangue dei curdi-turchi del Pkk. Per esempio, anche se non ci sono state rivendicazioni ufficiali, le autorità turche hanno dato la responsabilità ai curdi siriani dell’attacco a Istanbul del 13 novembre, un attentato avvenuto dopo anni di tranquillità in Turchia.

Il Comando centrale degli Stati Uniti, che supervisiona le circa 900 truppe statunitensi in Siria incaricate di contrastare il gruppo terroristico dello Stato Islamico, ha riconosciuto per la prima volta l’attacco martedì, affermando che nessun membro del personale statunitense si trovava nella base in quel momento. Ma un funzionario della difesa statunitense ha dichiarato al governativo Voice of America che le truppe statunitensi si trovavano nelle vicinanze, a 300 metri dalla base, situata a nord della città di Hasakah. La struttura è usata dalle Forze democratiche siriane (Sdf), che è il rebrand politico-narrativo con cui gli americani hanno deciso di chiamare le unità curde nel momento in cui hanno lanciato la partnership anti-Is.

Mentre gli Stati Uniti considerano l’Sdf — a maggioranza e guida curda, ma composto anche da gruppi arabi — come un alleato chiave nella lotta contro l’Is e separato dall’YPG, la storica milizia curdo-siriana che in passato ha sposato la lotta armata anti-turca del Pkk, Ankara non vede questa sfumatura. Per la Turchia sono un’unica organizzazione, sostenendo che molti combattenti appartengono a entrambi i gruppi (e non è del tutto errato).

È una situazione di alta tensione che si aggiunge a un clima non proprio disteso tra Washington e Ankara — dovuto anche alla decisione di Recep Tayyp Erdogan di avviare questa nuova campagna contro i curdi siriani, ma non solo. Tra Turchia e Stati Uniti c’è un clima di incomprensione che dura da diversi anni ormai. Anche se senza dettagli puntuali, far arrivare la notizia a VoA e poi far uscire una dichiarazione ufficiale del Pentagono significa riconoscere la gravità militare dell’incidente e in parte filtrare ulteriore insofferenza politica.

“I recenti attacchi aerei in Siria hanno minacciato direttamente la sicurezza del personale statunitense che sta lavorando in Siria con i partner locali per sconfiggere l’Is e mantenere la custodia di oltre 10.000 detenuti dell’Is”, ha dichiarato il Pentagono. “È necessaria una de-escalation immediata per mantenere l’attenzione sulla missione di sconfitta dell’Is e garantire la sicurezza del personale sul campo”, ha aggiunto. “Continueremo a discutere con la Turchia e i nostri partner locali per mantenere gli accordi per il cessate il fuoco”.

I funzionari delle Sdf hanno dichiarato che l’attacco aereo di martedì ha ucciso due membri delle sue unità antiterrorismo addestrati dagli Stati Uniti. Oltretutto, i siriani sostengono anche che uno dei raid turchi ha colpito il Displacement Camp di Al Hol e ha permesso ad alcune famiglie di detenuti baghdadisti di fuggire.

“La Turchia continua a subire una legittima minaccia terroristica, in particolare nel suo sud”, ha dichiarato martedì ai giornalisti John Kirby, ammiraglio che coordina le comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale per le comunicazioni strategiche. “Hanno certamente il diritto di difendere se stessi e i loro cittadini”, ha detto. Ma Kirby ha sottolineato le preoccupazioni di Washington che l’offensiva turca, a lungo andare, possa fare più male che bene: “Potrebbe costringere alcuni dei nostri partner delle Sdf a una reazione che limiterebbe la loro capacità di continuare a combattere contro l’Is. Che è una minaccia ancora valida”.

Dietro all’operazione turca in Siria si celano dinamiche complesse. Erdogan ha più volte usato in passato la spinta alle attività di sicurezza interna per obliterare situazioni svantaggiose. La Turchia soffre una profonda crisi economica, con un’inflazione stellare che sta intaccando la tenuta sociale e le capacità politiche del presidente e del suo partito — che governa da due decenni. Un contesto critico in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo anno.

Allo stesso tempo, le attività contro i curdi in Siria sono state per Erdogan un modo per tenersi agganciato a un mondo che predica un modello alternativo di governance degli affari internazionali. È il caso del processo di Astana, il meccanismo di dialogo tra Turchia, Russia e Iran che con l’obiettivo la sistemazione del conflitto siriano, da anni ha costruito la contro-narrazione all’Occidente (quella che adesso è diventato un elemento mainstream delle relazioni internazionali).

Attualmente la Turchia è in una posizione un po’ stretta, perché se da un lato con Stati Uniti ed Europa ci sono complicazioni di relazione legate alla eccessiva esposizione concessa alla Russia e alle sue pratiche, dall’altra vede Mosca aver perso fiducia nel rapporto che si era costruito sfruttando la Siria. Per la Russia infatti Ankara è parte attiva nel sostegno che la Nato sta fornendo a Kiev per vincere la guerra avviata da Vladimir Putin. L’inviato russo ad Astana ha per esempio criticato l’operazione turca in Siria, sostenendo che potrebbe produrre destabilizzazione e ha ribadito la necessità di evitare incidenti (nell’area ci sono infatti anche forze russe).

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