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Così la Cina vola verso una maxi-insolvenza

Nei prossimi mesi andrà a scadenza circa il 40% delle obbligazioni emesse dai governi locali per finanziarsi. Ma la cassa langue e allora si rischia un default di Stato dalle proporzioni gigantesche. A meno che non si imbottisca il mercato di nuovi bond

 

Stavolta Evergrande e i suoi fratelli c’entrano, ma non troppo (qui l’intervista sui guai cinesi all’economista e imprenditore, Alberto Forchielli), perché il problema è a monte. Anche se il virus è sempre quello, il debito. Sistemico, endemico e dunque contagioso. In Cina si rischia di andare incontro a una colossale insolvenza di Stato e il motivo è presto spiegato. Negli anni prima e durante la pandemia, le oltre trenta province cinesi per finanziarsi hanno immesso sul mercato una immane quantità di obbligazioni, al fine di raccogliere la liquidità necessaria a sopravvivere e sostenere gli investimenti, molti dei quali legati al real estate.

Ora, il prossimo anno andranno in scadenza bond per 15 mila miliardi di yuan, circa 2.100 miliardi di dollari. Praticamente il 40% dell’intero stock circolante dovrà essere rimborsato entro la fine del 2023. Problema, come ha scritto Bloomberg, ad oggi gli enti locali cinesi, ovvero le immense province dell’ex Celeste Impero, non hanno cassa sufficiente per restituire il denaro prestato. Il che espone i governi a un potenziale default di dimensioni enormi. “Nei prossimi cinque anni”, ha scritto l’agenzia di stampa americana, le autorità locali si troveranno di fronte a un enorme muro di scadenze, molte delle quali nel 2023, dato che occorrerà liquidare obbligazioni per un valore di quasi 15 mila miliardi di yuan (2.100 miliardi di dollari), pari a oltre il 40% del loro debito in essere”.

Il tutto innescherà ovviamente un circolo vizioso. Perché, onde evitare il crack, i governi locali si vedranno costretti a vendere al mercato sempre più bond per finanziare i pagamenti delle cedole legati a quelli in scadenza, piuttosto che utilizzare tali risorse raccolte per finanziare nuove spese e, di conseguenza, la crescita degli investimenti potrebbe risentirne.

Naturalmente, dietro questa potenziale apocalisse finanziaria, fa capolino il mattone. Le entrate derivanti dalla vendita dei terreni, che in passato costituivano circa il 30% degli incassi dei governi locali, sono infatti crollate. E lo dimostra il fatto che la stessa Evergrande, come raccontato da Formiche.net, ha dovuto restituire gli appezzamenti rilevati per costruire nuovi quartieri, anni addietro. Alla fine, il mattone c’entra, anche stavolta.

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