La crescente presenza cinese nel Maghreb e l’apertura algerina al rafforzamento della Via della Seta comportano una serie di problematiche anche per l’Italia e per l’Occidente, vista la concomitante relazione energetica tra Roma e Algeri, senza dimenticare le mire di Pechino sulle infrastrutture del Mediterraneo
Non ci sono solo i porti di Pireo, Amburgo e Trieste a tenere banco nelle dinamiche euromediterranee legate alla geopolitica delle infrastrutture. Il nuovo piano triennale per la cooperazione sino-algerina firmato tra il ministro degli Esteri algerino, Ramtane Lamamra, e il presidente della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma in Cina, He Lifeng porta in grembo una serie di effetti a catena anche per quei Paesi come l’Italia che con Algeri hanno relazioni energetiche.
Cina e Algeri
L’Algeria apre le porte alla Cina: sì al rafforzamento della Via della Seta. Nell’ambito della Bri, la Cina ha fortemente partecipato alla costruzione di infrastrutture in Arabia Saudita, Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Algeria e altri paesi. Allo scorso luglio 149 Paesi e 32 organizzazioni internazionali avevano firmato documenti di cooperazione con la Cina per circa 3.000 progetti da 1 miliardo di dollari. Il partenariato dell’Algeria ai Brics, il gruppo delle economie emergenti che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, è ben visto ovviamente dal governo di Xi dopo che lo stesso presidente algerino Abdulmecid Tebbun ha osservato pubblicamente che “il gruppo Brics attira l’attenzione dell’Algeria che considera che Unione sia una potenza economica e politica” e ha valutato che “l’adesione a questo gruppo allontanerà l’Algeria, pioniere del principio di non allineamento, dall’attrazione di i due poli”.
Xi dixit
Inoltre lo stesso Xi rivolgendosi a Abdelmadjid Tebboune, nella sua qualità di presidente di turno del Consiglio dell’AL, al 31° vertice dell’AL ad Algeri, ha affermato che la Lega Araba è impegnata a cercare la pace e la stabilità in Medio Oriente, salvaguardando il multilateralismo e gli interessi comuni dei Paesi in via di sviluppo.
Ma esiste anche un problema interno alla realizzazione dei progetti targati Bri, dopo numerose segnalazioni ricevute dai lavoratori impiegati nei cantieri che sono rimasti bloccati in alcune province algerine come Souk Ahras: hanno accusato le aziende coinvolte di averli attirati in Algeria con false pretese, in virtù di salari bassi e condizioni di lavoro tutt’altro che ottimali.
Algeri e Roma
L’elemento relativo al potenziamento della Bri rappresenta un tema niente affatto secondario se rapportato alle relazioni che Italia e Algeria hanno appena moltiplicato alla voce gas.
Punto di partenza i flussi che, molto pragmaticamente, rappresentano nel quadrante mediterraneo ed eurasiatico la chiave per decrittare relazioni e influenze, passando per la costruzione di gasdotti. Roma e Algeri, alla luce della decisione assunta dal governo Draghi in tema di approvvigionamento energetico, hanno dato vita ad una fase di più strette relazioni: l’Italia ha dalla sua il Greenstream dalla Libia e il Transmed dall’Algeria via Tunisia.
Accanto a ciò ecco la consapevolezza che i due Paesi possono potenzialmente andare “oltre” l’energia e apparecchiare un tavolo di interrelazioni su dossier politici di primaria rilevanza, come la stabilizzazione in Libia e la sicurezza nel Mediterraneo meridionale.
Scenari
Il vertice intergovernativo italo-algerino del luglio scorso ha gettato le basi, dunque, per un rapporto più ampio nel settore energetico, dopo che l’Algeria è diventato primo fornitore di gas del nostro Paese, anche a seguito dell’accordo firmato ad aprile scorso tra Eni e la società algerina Sonatrach.
Ciò comunque si somma, in parallelo, ai passi che altri players compiono nella macro area: è chiaro che la motivazione principale per la quale l’Algeria ha puntato sulla Bri cinese è la possibilità di uscire dalle secche della crisi economica, aumentando i tassi di crescita e contando di sviluppare una piattaforma che attiri sempre più investimenti stranieri. Ma è altrettanto chiaro che gli esempi recenti, anche nei Balcani con il Montenegro, rappresentano un monito per quei paesi che osservano la Bri come la soluzione a tutti i loro mali, salvo poi subirne alcune conseguenze non propriamente positive.