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Meloni, Hanukkhah e l’antisemitismo moderno. Parla Bendaud

Il saggista: “Meloni ha dato un segnale importante e positivo. E ha fatto bene a sottolineare che l’equivalenza tra identità-intolleranza-autoritarismo, che taluni hanno fatto diventare luogo comune, è insidiosa e fallace”. E sul Monte del tempio: “La negazione della storia ebraica, della sacralità del luogo e del suo valore identitario per gli ebrei, antichi e contemporanei, è parte significativa del problema”

Clicca qui per leggere la postfazione di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud al libro “Il Monte del Tempio”

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Giorgia Meloni ha preso parte all’accensione della lampada di Hanukkhah, la “festa delle luci”. Questa festa celebra la resistenza ebraica contro l’ellenizzazione forzata, la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme profanato dall’imposizione di culti pagani, la tenacia di pochi che sfidarono la forza dei molti. Contestualmente, la Presidente del Consiglio ha condannato ancora una volta il fascismo e la normativa razziale. Formiche.net ha raggiunto il saggista Vittorio Robiati Bendaud per approfondire il significato di quest’incontro e non solo.

“Mi hanno chiamato degli amici dicendomi che la presidente sarebbe intervenuta e ho ascoltato il suo intervento” – risponde Vittorio Robiati Bendaud, studioso e saggista co-autore della postfazione al libro “Il Monte del Tempio” (Guerini&Associati) di Yitzhak Reiter e Dvir Dimant -. “Ha dato un segnale importante e positivo. E ha fatto bene a sottolineare che l’equivalenza tra identità-intolleranza-autoritarismo, che taluni hanno fatto diventare luogo comune, è insidiosa e fallace. Ho apprezzato che, da una prospettiva laica e istituzionale, abbia sottolineato che l’ebraismo è parte fondante e irrinunciabile della società e della cultura italiana, che ha contribuito e contribuisce a plasmare. Hanukkhah è una festa di libertà: politica e religiosa. E la libertà ha dei costi, e non è scontata né autoevidente, come evidenziato dalla presidente del Consiglio. È una delle feste più identitarie del popolo ebraico, eppure ha una dimensione universale straordinaria: una lezione di libertà e indipendenza; di libertà religiosa, culturale e nazionale.

Si tratta di una lezione “calda” per la nostra attualità: si pensi ai musulmani perseguitati in maniera totalitaria dal regime cinese; all’attuale persecuzione, anche in questi giorni, della piccola enclave armena nel Caucaso da parte di democrature politiche-religiose guidate da leader tremendi sì, ma abili calcolatori e raffinati strateghi, che riescono a mettere sotto scacco molti Paesi occidentali; al Qatargate (che, con ogni probabilità, è la punta di uno spaventevole e immane iceberg), con tutti i finanziamenti in Occidente alla politica, come pure, e ancor più, a moschee fondamentaliste e a singoli politici, intellettuali nostrani, dipartimenti universitari pronti a vendersi; alla distruzione quasi totale del cristianesimo iracheno-siriaco perpetrata solo pochi anni fa dall’Isis e, parimenti, al genocidio degli yazidi di cui ormai nessuno parla più”.

Alla presidente del Consiglio è molto caro il tema dell’identità, anche culturale e nazionale. Che ne pensa?

Esprime una linea di pensiero, quella del conservatorismo libertario-liberale, estremamente florida, interessante e degna, che in Italia fa fatica a decollare (mirabile, al riguardo, l’esperimento culturale promosso dal professor Giuseppe Valditara con Lettera 150), tra accuse farneticanti e strumentali di “fascismo” da parte di certa sinistra e rigurgiti o tentazioni di “vecchio fascismo”, mai scomparso, in certuni ambienti di destra. L’antisemitismo, però, è trasversale a questi due mondi, specie per quello che concerne la sua declinazione antisionista, ma non solo. Non è questo il caso, però, a fronte di anni di pubbliche e ferme prese di posizione al riguardo, né di Giorgia Meloni né di Matteo Salvini. Il loro compito, come per gli esponenti della sinistra, è di vigilare molto attentamente e prontamente in proposito nei ranghi dei rispettivi partiti e nell’elettorato passivo.

Giorgia Meloni invitò a Roma Yoram Hazony, il pensatore israeliano, formatosi anche negli Stati Uniti, autore de Le virtù del Nazionalismo (Guerini & Associati).

Fui io a volere la traduzione italiana di quel libro e a tradurlo, d’intesa con l’editore Angelo Guerini, recandomi a Washington per il primo convegno del National Conservatorism, assieme all’amico Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano. L’intervento inaugurale fu di Peter Thiel, che è gay. Una forma di conservatorismo liberale e libertario, che, come tale, aborrisce e combatte razzisti, omofobi e antisemiti, per intenderci. Tempo dopo, Giorgia Meloni invitò in Italia Yoram, promuovendo questo libro, che offre buoni e significativi spunti di riflessione.

Lei condivide appieno l’opera di Hazony?

È un testo importante, che andrebbe letto. Credo che su alcune tematiche quantomeno smascheri dei cortocircuiti, che già non è poco. Ciò premesso, nessun libro, fortunatamente, esaurisce questioni immense e inesauste come quelle concernenti “impero” e “nazione”. Ci accosterei, culturalmente e politicamente, Harry Frankfurt, Roger Scruton, ricordato da Giorgia Meloni al momento del suo insediamento, e Douglas Murray.

Hanukkah rinvia a Israele, a Gerusalemme e al Tempio – di Salomone prima ed erodiano poi -. La Guerini & Associati ha appena pubblicato il libro “Il Monte del Tempio. Ebraismo, Islam e la Roccia contesa”, degli studiosi israeliani Reiter – intellettuale di sinistra – e Dimant, con postfazione dell’illustre scrittrice Antonia Arslan e sua. Ce ne può parlare?

Si tratta di un libro eccellente, al contempo di ricerca accademica e di alta divulgazione culturale, che andrebbe letto da politici, giornalisti e docenti, anche per evitare sproloqui. Apprendiamo da esso che le fonti islamiche classiche, qui ampiamente documentate, dalla nascita dell’Islam sino agli albori del XX secolo, riallacciavano la narrazione islamica a quella ebraica, santificando quel peculiare luogo, così caro anche all’Islam, proprio perché indissolubilmente legato alla precedente e continuativa storia ebraica, in qualche modo accettata dall’Islam tradizionale. Dopo gli anni ‘20 e, in particolare, dopo la Guerra dei Sei Giorni, per ragioni teologico-politiche, le dirigenze islamiste hanno diffuso una Storia alternativa, cancellando o minimizzando quella ebraica (e cristiana).

Questa riscrittura della Storia non solo contraddice grossolanamente la realtà dei fatti, ma persino la storia e le stesse fonti islamiche classiche: la negazione delle radici ebraiche dell’Islam, insomma, arreca danno anche all’Islam e ai musulmani, oltreché agli ebrei, rafforzando gli estremisti e alimentando disinformazione ed equivoci. Tengo a precisare, tuttavia, che, per quanto il crinale sia potenzialmente scosceso, questo testo è molto importante proprio perché è estremamente onesto, puntuale e ampiamente documentato, rifuggendo polemiche e invitando, non alle animosità, ma allo studio, alla comprensione, alla riflessione e al rispetto dall’altro, inteso anche come alterità religiosa.

C’è alta tensione sulla questione del Monte del Tempio.

Ovvio, purtroppo. Perché è il luogo dove i non-detti e i cortocircuiti strutturali tra i tre monoteismi da carsici diventano manifesti e tangibili. La negazione della storia ebraica, della sacralità del luogo e del suo valore identitario per gli ebrei, antichi e contemporanei, è parte significativa dal problema.

Ma ci sono anche gli estremisti ebrei, però.

Certo, e perché non dovrebbero esserci? Appartenere all’ebraismo o a una qualsiasi minoranza umana – religiosa, politica, etnica, di preferenza sessuale – (come pure a maggioranze) e rivendicarlo non significa in alcun modo avere ipso facto la patente della bontà, della maggiore sensibilità o di particolare liberalità. Ciò premesso, gli estremisti ebrei – una sparuta minoranza, per la verità – che vorrebbero ricostruire il Tempio sono avversati dai pronunciamenti ufficiali del Rabbinato Centrale di Israele, che si è espresso chiaramente e più volte in senso contrario. Ove il problema vi sia (e c’è), va monitorato e affrontato con ferma intransigenza, specie laddove vi siano ammiccamenti con la politica o riscuota alcune simpatie in ambienti più vasti. In Israele, comunque, i terroristi ebrei sono motivo di sconforto e inquietudine per la nazione e vengono giustamente condannati dal sistema di diritto; altrove, in varie parti del mondo, per quel che riguarda l’Islam radicale, sono considerati eroi o martiri, a danno in primis dei musulmani. Questa la differenza fondamentale

Lei crede nel dialogo con l’Islam?

L’Islam è una tradizione religiosa e culturale plurale, ricchissima e gloriosa, spaziante dalla mistica all’arte, che abbraccia secoli, e che meriterebbe di essere conosciuta meglio da tutti. L’Islam deve molto all’ebraismo e l’ebraismo deve molto all’Islam, come pure la lingua e la grammatica ebraiche a quella araba, tra loro sorelle. Prima – o con – del dialogo viene il rispetto. Ebrei e musulmani dovrebbero dialogare molto di più, laddove dialogo deve significare anche dissenso; se regge il dissenso, il dialogo funziona. Tale dissenso però non deve essere strumentale, per cancellare o sopraffare, ma leale, per affermare una differenza sostenibile. Sono fermamente convinto che l’Islam, i Paesi islamici e i musulmani, e con loro l’ebraismo e lo Stato di Israele, hanno oggi tutti eccezionale interesse a continuare a dialogare o a iniziare a farlo, anche nel segno degli Accordi di Abramo.

E circa l’Unesco e le sue controverse delibere sul monte del Tempio e la spianata delle moschee?

L’Unesco, dietro pressione di molti governi arabi o islamici, ha portato avanti questa linea negazionista (e quindi antisemita) della storia ebraica e mondiale, peraltro innescando una crisi al suo interno. Certo servivano altri voti, ossia quelli degli Stati che si sono prestati a una riscrittura ideologico-politica della Storia – ebraica, cristiana e islamica, dell’Occidente e dell’Oriente musulmano al contempo – per ideologia antisraeliana, per ignoranza e impreparazione, per dimenticanza colpevole della propria storia, per business… E vi furono poi gli Stati astenuti: il caso ignominioso del nostro Paese. Come se Giuseppe Verdi, per fare un esempio celeberrimo, non avesse fatto iniziare il Nabucco, opera così sacra e vitale per la storia dell’Italia libera e unita, proprio all’interno del Tempio di Gerusalemme! Fu ignavia diplomatica? Personalmente l’ho vissuto come un doppio tradimento: dell’ebraismo e della storia di Italia, entrambi svenduti e ipotecati.

Politicamente è la linea più diffusa nella sinistra italiana.

È tristemente vero, ed è motivo di grande preoccupazione. C’è, tuttavia, sinistra e sinistra! Piero Fassino, Vannino Chiti, Irene Manzi, pur provenendo da storie politiche diverse, sono confluiti nel PD e hanno cercato di mantenere posizioni equilibrate o di sincera amicizia e leale sostegno a Israele. Ciò, ancor più, vale per il senatore a vita Giorgio Napolitano, come pure per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ciò premesso, Matteo Renzi ha giustamente posto, con efficacia, la questione dell’antisemitismo di sinistra. E ha fatto molto bene! Recentemente, ad Assago, si è svolto un incontro filopalestinese dal titolo “Gerusalemme è nostra”, a cui presero parte anche taluni politici italiani. È stato il senatore Ivan Scalfarotto, uomo di sinistra, a cui vanno la gratitudine e la stima mie personali e di tanti ebrei italiani e non solo, che con coraggio, lungimiranza, prontezza e determinazione ha denunciato la questione, facendo opportunamente scoppiare il caso.

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