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Finanziaria in ordine, ma occhio all’ondata Covid cinese. La versione di Cicchitto

L’ex senatore: “Meloni ha il merito di aver mantenuto i conti in ordine, malgrado tutto e nonostante gli alleati. Il che, di per se, non è un risultato da poco”. E sulle traversie nel centrosinistra: “Con quattro candidati, il Pd rischia di morire di primarie”

“Il bicameralismo è morto da tanto tempo. Al Senato sanno perfettamente che se dovessero cambiare anche solo una virgola della Manovra, si rischierebbe l’esercizio provvisorio”. Fabrizio Cicchitto, ex senatore di Forza Italia, con radici ben salde nel Psi, ragiona sull’esito a cui porteranno i lavori parlamentari della Finanziaria, allargando lo sguardo alle sfide del governo per il prossimo anno e a quelle di un Pd sempre più in cerca d’autore.

Alla Camera c’è stata una vera e propria maratona per dare il via libera alla Manovra. Al Senato non sarà così?

Mi aspetto qualche scenata da parte dei senatori, ma nella sostanza hanno ben poco margine di manovra se si vuole scongiurare l’esercizio provvisorio. Per cui mi aspetto che si continui con questa grande ipocrisia. Ma, torno a dire, il bicameralismo è sepolto e l’idea di superarlo, promossa da Renzi, fu più che giusta benché bocciata.

Qual è il suo giudizio sulla Finanziaria varata dall’esecutivo Meloni?

Meloni ha il merito di aver mantenuto i conti in ordine, malgrado tutto e nonostante gli alleati. Il che, di per se, non è un risultato da poco. Anche perché è l’unico elemento davvero che fa la differenza nella sostanza di una legge finanziaria. Poi c’è qualche punto secondario che andrebbe chiarito meglio, come l’intervento sul reddito di cittadinanza, ma sono provvedimenti collaterali. L’equilibrio di bilancio è stato garantito. E questo è un bene. La mia preoccupazione più che altro è legata al tema della Sanità.

Che cosa intende dire?

Mi pare che in linea di massima ci sia una sottovalutazione del problema covid. Ma soprattutto c’è una sottostima di quello che potrebbe accadere in Cina e, di riflesso, anche in Italia. Nel paese del Dragone il contagio sta esplodendo di nuovo in maniera massiccia, ma qui pare che nessuno se ne curi. Non solo, sulla sanità non condivido neanche il fatto di aver rinunciato al Mes sanitario (37 miliardi) e di non essere intervenuti per abolire il numero chiuso alla facoltà di Medicina.

Quali saranno le sfide che dovrà affrontare Meloni nel 2023?

In politica interna la priorità assoluta deve essere quella di raggiungere, nei tempi previsti, gli obiettivi sanciti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Muoversi, insomma, un po’ nel solco tracciato da Mario Draghi. Sul piano della politica internazionale mi pare invece che Meloni si sia dimostrata molto meglio dei suoi alleati di coalizione. Le posizioni che sta tenendo su posizionamento atlantista e strenua difesa (e sostegno) dell’Ucraina ma paiono molto positive. E vanno mantenute.

Chi sembra  essere particolarmente in crisi, in questa fase, pare essere invece il Pd alle prese con una fase congressuale che si sta trasformando in una via crucis. Che ne pensa?

Quattro candidati alla segreteria del partito sono senz’altro troppi, anche se in una certa misura restituiscono l’immagine della fase caotica che sta attraversando il Pd. Un partito che non solo ha perso alle urne, ma è come se alle urne non ci fosse mai andato. Ha perso la sua capacità di fare politica. Ed è per questo che secondo me al congresso bisognerebbe approdare con due mozioni e altrettanti candidati: una mozione che tracci l’orizzonte per un partito di stampo laburista e un’altra che delinei i contorni di un partito più ‘radicale’, movimentista. Con quattro candidati, il Pd rischia di morire di primarie.

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