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Burkina Faso, Nigeria, Congo. Il terrorismo squarcia l’Africa

Cinquanta donne rapite in Burkina Faso, un prete ucciso in Nigeria, una chiesa incendiata nella Repubblica Democratica del Congo. Nel giro di pochi giorni, il terrorismo jihadista ha dimostrato le proprie capacità di azione in Africa, dove lo Stato islamico ha costruito una rete di Wilayat attive su un territorio molto ampio. Mentre tornano gli attacchi in Siria e Iraq

I recenti fatti in Nigeria e Burkina Faso segnano un trend già noto: il terrorismo jihadista è ancora attivo, l’Africa è il principale luogo di attecchimento, mentre anche in alcuni territori mediorientali tornano all’offensiva i gruppi collegati alle sigle internazionali.

Tra giovedì e venerdì della scorsa settimana, nelle aree rurali fuori dal villaggio di Liki, a circa 15 km dalla città di Arbinda, nel nord del Burkina Faso, sono state rapite una cinquantina di donne che stavano cercando frutti, foglie e semi – vengono macinati in polvere per i bambini, vengono cercati perché manca cibo. Il Paese è allo stremo, squarciato dalle violenze dei gruppi armati di ispirazione jihadista e in parte collegati a Stato islamico e al Qaeda. Secondo la giunta al potere a rapire le donne potrebbe essere stata qualche milizia, seguendo un modus operandi già noto altrove – per esempio in Nigeria, dove la storia delle oltre 200 liceali rapite a Chibok dai jihadisti dell’allora prominente Boko Haram diventò un caso globale, con l’hashtag “#BringBackOurGirls” usato sui social network da politici e personaggi famosi.

Era il 2014, a distanza di oltre otto anni la situazione in diverse parti dell’Africa non è cambiata. Anzi. L’area in cui si trova Arbinda è una di quelle più colpite dal terrorismo islamico, uno dei principali problemi del Burkina Faso, che negli ultimi anni ha provocato la morte di migliaia di civili e costretto circa due milioni di persone (su 22 milioni di abitanti) ad abbandonare le proprie case. Era stato proprio il degradamento del contesto securitario a indurre i militari all’arresto del presidente Roch Mark Kaboré e successivamente i golpisti a spingere con forza un ulteriore cambio al comando qualche mese più tardi (a ottobre 2022). I militari promettono il ritorno della sicurezza, ma nei fatti non riescono a fermare i gruppi – ormai parte di un tessuto interno complesso.

Quanto successo a Ouagadougou ricorda la vicenda del Mali, Paese che ha subito anch’esso due colpi di stati in breve tempo e che da anni cerca di contenere l’azione dei gruppi – senza successo. All’interno di queste dinamiche, approfittando del contesto, la Russia ha cercato di incunearsi con interesse (materie prime, influenza politica, vendita di armamenti) tra gli spazi lasciati dall’insuccesso delle missioni europee guidate dalla Francia. Mosca – in Mali soprattutto, ma anche altrove – ha cercato di usare le attività del Wagner Group come fattore di influenza, ma i contractor collegati al Cremlino non stanno ottenendo i risultati annunciati. Basta guardare cosa è successo pochi giorni fa a Markacoungo, a 80 km dalla capital Bamako, dove un attentato ha ucciso cinque persone, con i gruppi jihadisti che continuano a mostrarsi offensivi.

Domenica mattina, in Nigeria, un gruppo di banditi ha attaccato, prima dell’alba, la residenza parrocchiale della chiesa cattolica di San Pietro e Paolo, a Kafin-Koro, nella regione di Paikoro, dove si trova la diocesi di Minna. Nel raid è stato ucciso il parroco padre Isaac Achi, morto quando, davanti all’arrivo dei soccorsi, la parrocchia è stata data alle fiamme dagli aggressori, un gruppo di pastori Fulani. Secondo fonti locali, i Fulani – un gruppo etnico diffuso nel Sahel e nel West Africa – potrebbero essere stati indotti ad agire. Altrove, grazie alle capacità di propaganda e sfruttando il contesto di scontri inter-etnici regionali, affiliati dello Stato islamico nel Grande Sahara (noto come Isgs, attivo soprattutto nell’arco saheliano) hanno reclutato combattenti da questi gruppi tribali.

Nonostante gli scontri con l’affiliata di al-Qaeda, Jama’a Nusrat ul-Islam wal Muslimin (Jnim), e le forze di sicurezza francesi e regionali, i leader dell’isis sono riusciti a rimanere in vita e a mantenere in gran parte intatto l’apparato di comando e controllo del gruppo. La provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (nota con l’acronimo inglese Iswap) è formalmente integrata con l’Isgs nella struttura organizzativa dell’Is, e l’azione dei fulani potrebbe raccontare di come l’attività si stia estendendo e prendendo continuità. L’Iswap è attiva in tutto il bacino del lago Ciad, anche nel nord-est della Nigeria e sempre più nel sud-est del Niger, e ha forti contatti con il nucleo centrale dell’Is in Medio Oriente – riscontrabili anche dal modo con cui viene diffusa la propaganda contro le forze di sicurezza nigeriane.

In Nigeria, la forza di Iswap ha eclissato quella di Boko Haram, che continua a perdere sostegno per il suo duro trattamento dei non combattenti, compresi gli agricoltori locali estranei al conflitto. Boko Haram, tuttavia, si è collegato con banditi altrettanto spietati nel nord-ovest della Nigeria nel tentativo di aggirare l’Iswap e creare i propri affiliati in quella regione. È uno scontro esteso, con l’esercito della Repubblica Democratica del Congo – dove il 31 gennaio sarà in visita Papa Francesco – che ha dichiarato nei giorni scorsi che un ordigno è esploso in una chiesa nella provincia del Nord Kivu, al confine con il vicino Uganda. A seguito dell’esplosione, che ha provocato morti e feriti, un cittadino keniota è stato arrestato. Alcune ore dopo è arrivata la rivendicazione da parte del ramo baghadista in Africa centrale, conosciuto come Iscap – e noto per le attività in Mozambico.

Tutte le dinamiche africane – già analizzate profondamente nella riunione della Colazione anti-Is ospitata a Roma due anni fa – sono anche spinte da una rinascita generale delle attività in Medio Oriente, dove soprattutto lo Stato islamico è tornato a farsi notare per la serie di attentati rivendicati in Siria (dove hanno una cadenza quasi quotidiana da qualche mese a questa parte) e in alcune zone dell’Iraq. La catena di comando centrale dell’intera organizzazione, costruita sull’onda propagandistica e sul proselitismo innescato dal fu-Califfo Abu Bakr al Baghadi, potrebbe essere rimasta nascosta in aree remote del Siraq, ma potrebbero essersi spostate anche altrove. Anche in Africa, dove il contesto socio-economico e culturale sta favorendo il rapido attecchimento delle istanze jihadiste.


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