Mentre la presidente Meloni si appresta a visitare la Libia, altro punto di approdo delle politiche italiane sul Mediterraneo, Federica Saini Fasanotti, storica ed esperta di area mediterranea della Brookings Institution, ragiona sulle consapevolezze che Roma deve avere in mente quando pianifica scelte e partnership nella regione
Il tour de force diplomatico italiano nel Mediterraneo arriva alla tappa libica. Il viaggio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni non è ancora confermato ufficialmente per ragioni di sicurezza, ma dovrebbe essere a breve (probabilmente a brevissimo). Appuntamento ineluttabile, dal profondo valore strategico, visto il valore che il dossier ha per la politica estera italiana. Meloni segue la tradizione consolidata: da tempo, la visita in Libia arriva sempre tra i primi appuntamenti all’estero per i premier italiani. In più le criticità della situazione interna impongono all’Italia di dimostrare la propria presenza.
La Libia è tornata divisa tra due esecutivi, entrambi privi della legittimazione sufficiente per governare da soli il Paese — anche volessero farlo con la forza. Inoltre sul suolo libico restano attivi attori con interessi competitivi per l’Italia. Non ultimi quelli della Russia. Fonti locali raccontano a Formiche.net che i contractor russi del Wagner Group sono tornati a mostrarsi in pubblico nelle zone di Sirte, dove sono acquartierati da tempo. Vi si trovano per un accordo con le forze miliziane di Bengasi. Intesa attiva almeno dal 2018, ma diventata mainstream durante l’assalto al governo onusiano di Tripoli (aprile 2019 – ottobre 2020).
Si era parlato poi di un ruolo ri-dispiegamento per dare man forte all’invasione in Ucraina, dove la Wagner svolge un ruolo di prima linea. Ma le fonti libiche spiegano che in realtà i russi non se ne sono mai andati del tutto. E questo racconta dell’interesse che Mosca ha nel presidiare il dossier e la regione. Certe condizioni interne di insicurezza sono complesse, perché alterate da potenziali destabilizzazioni dall’esterno. Per questo sono un fattore di massima attenzione per l’Italia. E non solo: recentemente il direttore della Cia, William Burns è stato in Libia (e in Egitto) anche con un’attenzione alle attività russe.
Tutto diventa ancora più determinante se si considera che durante il viaggio di Meloni potrebbe essere ufficializzato un accordo sul gas naturale tra Eni e Noc (l’azienda nazionale libica degli idrocarburi). Si parla dello sviluppo di un reservoir off-shore attraverso un investimento da 8 miliardi di dollari. Eni non commenta la notizia diffusa ai media libici dal presidente della Noc, Farhat Bengdara.
L’Italia sta pensando di aumentare il peso della Libia nel quadro della sicurezza energetica propria (che significa anche europea) e del Mediterraneo in generale. D’altronde, fa notare Federica Saini Fasanotti, storica ed esperta di area mediterranea della Brookings Institution, le operazioni che ruotano attorno al mondo dell’energia sono state tra le poche che hanno funzionato in questo complicato decennio vissuto dal Paese. E anche grazie al lavoro di aziende come l’Eni, le cui attività economico-commerciali hanno sempre avuto anche una dimensione socio-politica.
“Il tema resta l’abbinare queste relazioni con l’assistenza a evoluzioni interne che possano portare a reali stabilizzazioni”, spiega a Formiche.net. “Non ho mai pensato che la soluzione per la Libia siano soltanto le elezioni: ossia, non credo possano essere una panacea. Anzi, se il processo di voto non è ben gestito, rischia di essere ancora più destabilizzante, aprendo ulteriori faglie tra vincitori e vinti. Ciò che serve è un aiuto per la costruzione di un tessuto interno di lunga tenuta, possibile solo attraverso la creazione delle istituzioni democratiche e l’isolamento di elementi tossici che fungono da attori destabilizzanti”.
Secondo Saini Fasanotti, questo percorso potrebbe essere anche possibile attraverso le politiche di investimento che Paesi come l’Italia stanno promuovendo. Ma resta incerto. “Prendiamo il caso dell’Algeria, un Paese che l’Italia ha elevato a primo fornitore energetico e partner strategico: un avvicinamento molto importante, sebbene vada assunta la consapevolezza che è uno stato con all’interno controversie riguardo alla gestione del potere. Situazioni che, lo abbiamo già visto con le Primavere Arabe e con la caduta di Gheddafi, possono portare a pesanti destabilizzazioni”.
La sfida a lungo termine riguarda dunque la tenuta e la stabilizzazione delle condizioni interne. Con un elemento pragmatico: l’aumento delle entrate economiche in Paesi come l’Algeria potrebbe permettere un miglioramento del controllo sulle masse attraverso il soddisfacimento delle richieste per migliorare le condizioni di vita (riforme economiche, sussidi, occupazione giovanile). Patti sociali che hanno equilibri delicatissimi.
Inoltre, sia nel caso della Libia che in quello dell’Algeria, non vanno dimenticate quelle presenze russe. “Le relazioni tra Algeri e Mosca sono pluridecennali e l’ingerenza militare nella vita politica del Paese è altrettanto consolidata”, spiega l’esperta della Brookings. “Un ulteriore riavvicinamento alla Russia verrebbe certamente sfruttato per aumentare le tensioni con il Marocco e le nazioni che lo sostengono, come è già successo con la Spagna”.
L’Algeria è un Paese che vede la diatriba con il Marocco sul Western Sahara come un conflitto congelato, particolarmente sensibilizzato dai riconoscimenti ricevuti da Rabat con gli Accordi Abramo. Il ruolo dell’Italia è dunque molto delicato, ma potrebbe permettere ad Algeri di avere un’importante finestra di dialogo con l’Europa e con l’Occidente. È per certi versi questo il senso profondo del cosiddetto “Piano Mattei” di cui parla il governo italiano. Un messaggio, l’essere ponte di dialogo, che anche i ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto hanno portato con loro durante i recenti viaggi in Tunisia, Turchia o Balcani.
“La situazione libica così come quella algerina, ma allo stesso modo potremmo ragionare di un altro importante partner italiano come la Tunisia, ci raccontano di situazioni complesse e articolate. Davanti a queste l’Italia ha la possibilità di spingere i propri interessi e le proprie policy sulla base di determinate consapevolezze”, chiude Fasanotti.