Se non sarà una vera accelerazione, sarà certamente un colpetto di pedale. Per il Monte dei Paschi di Siena si è aperta ormai da settimane la fase due, all’indomani della sofferta (e, fino a un certo momento, non scontata) ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, frutto del raccordo tra il Tesoro azionista al 64%, le fondazioni bancarie e qualche anchor investor, uno su tutti, la francese Axa. Adesso è tempo di capire come e quando lo Stato metterà in pratica quel disimpegno ordinato più volte caldeggiato sia dal premier Giorgia Meloni, sia dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Un dossier passato anche in altre mani, quelle di Riccardo Barbieri Hermitte, nuovo direttore generale del Mef e successore di Alessandro Rivera, l’uomo che nel novembre del 2021 provò a dare la banca più antica del mondo in sposa a Unicredit. Il resto è storia, le trattative franarono anche perché le pretese di Piazza Gae Aulenti, a cominciare dagli incentivi fiscali, non incontrarono il sì di Via XX Settembre. Adesso che i giocatori sono di nuovo in campo, resta da capire il futuro.
La soluzione che starebbe prendendo piede al Tesoro sarebbe quella che poggia su un’operazione di sistema, con più soggetti bancari coinvolti. Non è la prima volta che se ne parla, questo è vero, ma la strada maestra per l’addio dello Stato a Siena sembra essere tornata proprio quella. Difficile, sembra essere la convinzione al Mef, che una sola banca possa sobbarcarsi tutta Mps, anche ora che Rocca Salimbeni è irrobustita nel patrimonio e parzialmente risanata (il prossimo 7 febbraio è in programma il board sui conti 2022, mentre il titolo è tornato a correre in corsa, segnando un +6% nell’ultima seduta).
Troppo grande per Unicredit, il cui baricentro rimane sostanzialmente estero. E troppo pesante per Banco Bpm, la cui stazza non è certo tanto maggiore di quella del Monte dei Paschi. Dunque, serve più di una banca per consentire al Tesoro di fare i bagagli, con calma e ordinatamente. E, rimane una certezza nel governo, sempre con un occhio attento a possibili scorribande francesi. Bisogna sempre ricordare che il secondo azionista di Siena è Axa, colosso transalpino che detiene il 7,9% e che un domani potrebbe fungere da testa di ponte per il grande player francese, particolarmente ghiotto di banche italiane, Crédit Agricole.