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Piantedosi e Tajani in Tunisia. Il valore della cooperazione secondo Melcangi

La visita in Tunisia dei ministri Piantedosi e Tajani segna una continuità nelle relazioni tra Roma e Tunisi. Per l’Italia ci sono spazi di crescita dell’interscambio e cooperazioni sui dossier sicurezza ed energia. Ma il Paese deve superare la crisi socio-politica ed economica che sta vivendo

Rafforzamento della cooperazione bilaterale su sicurezza, sviluppo e politiche migratorie: sono questi i temi al centro del viaggio a Tunisi dei ministri di Interni ed Esteri, Matteo Piantedosi e Antonio Tajani. Una visita che segna un continuum di contatti su cui il governo italiano si muove attivamente all’interno del Mediterraneo – dopo gli incontri dello stesso Tajani (la scorsa settimana ad Ankara) e in attesa della visita in Algeria e Libia della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (domenica e lunedì prossimo).

I due italiani hanno avuto faccia a faccia con il presidente della Repubblica, Kais Saied, e i rispettivi omologhi di Esteri e Interni, Othman Jerandi e Taoufik Chareffeddin. Una dialogo, quello con Tunisi, fondamentale per prevenire ciò che Alessia Melcangi, docente della Sapienza e senior fellow dell’Atlantic Council, definisce la “tempesta perfetta”: il rischio del crollo economico (e sociale) della Tunisia, che avrebbe riverberi incontrollabili in termini di flussi migratori e di stabilità di tutta l’area mediterranea.

“La cooperazione tra Italia e Tunisia ha avuto sempre un suo valore per i governi italiani: è una tradizione che si mantiene, in questo momento certamente legata anche al rinnovato interesse dimostrato dagli Stati Uniti al Nordafrica (come racconta per esempio il viaggio in Libia del direttore della Cia, ndr), con un’attenzione centrale sul tema della sicurezza legata ai flussi migratori. Ma anche sui rapporti bilaterali”, aggiunge Melcangi in un conversazione con Formiche.net.

Per la docente, con le evoluzioni della pandemia, ci sono ampie opportunità di crescita dell’interscambio economico e poi c’è il tema energetico, che ha una nuova centralità con le dinamiche connesse alla fine della dipendenza italiana (ed europea in generale) da Mosca – conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina. In questo caso, la cooperazione in ambito energetico ha visto il recente varo dell’infrastruttura strategica Elmed, che è un progetto di interconnessione elettrica marittima tra Italia e Tunisia passante tra le acque del Mediterraneo. Acque attraversate, a proposito di energia e sicurezza energetica, anche dal gasdotto TransMed, noto anche come “Enrico Mattei”, che parte dall’Algeria e arriva a El Haouaria, nella penisola tunisina di Capo Bon, prima di entrare nel Mediterraneo e riemergere sulle coste siciliane, a Mazara del Vallo.

Per Melcangi, Elmed– infrastruttura realizzata grazie al lavoro dell’italiana Terna e della controparte tunisina Steg – “rappresenta nei fatti un’occasione di interconnessione elettrica che significa integrazione energetica e dunque economica tra Paesi del Mediterraneo, la quale si lega alla ricerca di differenziazioni di fonti di acquisizione, e su cui le relazioni italo-tunisine puntano insieme e basano parte del rinnovamento della collaborazione”.

Il tema, affrontando la realtà tunisina, è però connesso all’assistere il Paese nel superamento della crisi socio-politica ed economica che sta vivendo. “La situazione in Tunisia è molto pericolosa – spiega Melcangi – con le ultime votazioni parlamentari che sono state un momento negativo per la ricerca di consenso del presidente Saied, indicando un’inversione di tendenza nella partecipazione pubblica al voto: l’astensione superiore al 90 per cento delle ultime elezioni, rispetto a voti precedenti, racconta che l’appoggio popolare e la fiducia dei tunisini nei confronti della presidenza e della virata iperpresidenzialista decisa da Saied sta venendo meno”.

Ciò segna una battuta d’arresto del percorso democratico intrapreso, ma non un rallentamento dell’attività e del coinvolgimento che la popolazione vuole avere all’interno del dibattito e di quel percorso stesso – le astensioni sono state in effetti una scelta cosciente, una forma di protesta e boicottaggio, non una conseguenza dell’apatia, sottolinea la docente.

“Ora – continua – il problema è che mentre dilaga il dissenso, Saied si trova a dover affrontare una crisi economica profonda, con l’unica boccata d’aria che poteva arrivare dall’autorizzazione al prestito del Fondo monetario internazionale, la cui decisione definitiva (dopo un accordo di massima) è stata rimandata lo scorso 19 dicembre. C’è anche da dire che l’arrivo dei due miliardi di dollari in aiuti del Fondo, metterebbe Saied davanti a un bivio: da un lato sosterrebbero infatti un programma di riforme che potrebbe aiutare la Tunisia a rialzarsi, dall’altro obbligheranno di certo il presidente a varare misure di austerity sulla spesa pubblica, sostanzialmente intaccando il programma di sussidi e andando dunque a impattare sulle esigenze delle classi più disagiate. Un aspetto che creerebbe un potenziale aumento del disagio sociale, aprendo a possibili proteste”.


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