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Materiali critici, un fondo comune europeo per transizione green-tech

I Paesi europei, tra cui Germania, Francia e l’Italia stanno valutando l’istituzione di un fondo nazionale per sostenere la delicata supply chain delle materie prime critiche, tra cui le terre rare. Intanto, a marzo verrà presentato lo EU Critical Raw Materials Act. Vietato farsi concorrenza su un tema di comune interesse strategico… Nel frattempo, Breton chiama a raccolta le banche europee

La creazione di un fondo nazionale per le materie prime, al fine di finanziare nuovi progetti di estrazione, raffinazione e riciclo, è sul tavolo delle cancellerie europee, tra cui Berlino e Parigi. Francia e Germania si starebbero coordinando per evitare di creare ridondanze e una competizione interna che vada a svantaggio dell’interesse comune. Quello dell’accesso alle materie prime critiche, come terre rare, litio, silicio metallico, cobalto, grafite e altre 25 secondo la lista pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea.  

È quanto emerso nel corso dell’evento “Rare Earth Elements and the materials for the twin transition: a challenge for the European strategic autonomy” tenutosi presso l’Ambasciata italiana a Berlino, introdotto dall’ambasciatore Armando Varricchio. Tra gli ospiti istituzionali, il segretario di Stato al ministero dell’Economia e per la Protezione del Clima, Franziska Branter, i direttori di Erma (European Raw Materials Agency), Massimo Gasparon, e della Dera (Agenzia tedesca per le risorse minerarie), Peter Buchholz e il coordinatore del Tavolo sulle materie prime presso il ministero per le Imprese e il Made in Italy, Giacomo Vigna. Hanno inoltre partecipato rappresentanti del mondo delle imprese, think tank e comunità scientifica. 

L’incontro, come emerge dal titolo, si è incentrato sulla crescente importanza che l’accesso alle materie prime considerate “critiche” non solo avrà per rispettare i target comuni per la decarbonizzazione, ma anche la competitività di interi settori industriali nascenti sul suolo europeo. Una domanda globale che entro il 2050 crescerà di 5 volte per le terre rare (soprattutto per l’automotive e l’eolico offshore) e di dieci volte per il litio, ingrediente essenziale per le batterie elettriche, secondo le stime dell’Iea. 

Non solo tecnologie “verdi”. Anche i dispositivi digitali e l’infrastruttura per sostenere data center e le capacità di supercalcolo saranno voraci di materie prime critiche, seppur in quantità sicuramente non paragonabili rispetto alle rinnovabili. Come è stato più volte sottolineato, queste ultime sono materialmente più dispendiose rispetto alle fonti fossili a parità di energia prodotta, non solo in termini di materiali critici ma anche di base come acciaio, rame e cemento. Inoltre, la concentrazione delle forniture e delle capacità trasformative è ancor più accentuata rispetto a petrolio e gas, ma questo ovviamente perché si tratta di un mercato in decollo e su cui pochi paesi (Cina in primis) hanno saputo costruire un vantaggio competitivo lungo tutta la filiera. 

Una sfida, per la sua rilevanza nel nuovo ordine industriale nascente, che l’Europa è chiamata ad affrontare. Soprattutto in un nuovo clima geopolitico dove la sicurezza delle forniture – e la sua diversificazione – diventa cruciale. Secondo dati raccolti da Bloomberg, il volume di terre rare spedito dalla Cina attraverso i corridoi ferroviari nelle steppe russe è arrivato a 36.074 tonnellate nei primi nove mesi del 2022, più che raddoppiato rispetto al 2021, per un valore complessivo di 377 milioni di euro. La Germania risulta essere (non a sorpresa) il paese più esposto alla dipendenza dalla Cina, con due terzi delle importazioni per il settore automotive e petrolchimico. Secondo le stime ufficiali Ue, il blocco europeo importa dalla Cina il 98% del suo fabbisogno interno, ma si tratta comunque di materiali a basso valore aggiunto, considerando che la maggior parte dei metalli di terre rare prodotti da Pechino vengono consumati principalmente dalle industrie interne. 

Sembrano cifre risibili, ma è l’utilizzo finale che assegna il loro valore strategico. Soprattutto per la fabbricazione di armamenti, come il tungsteno (importato dalla Cina che ne produce l’83% a livello mondiale) utilizzato Thales Air Defence e Rheinmetall AG per la costruzione dei sistemi antimissile impiegati anche in Ucraina. “La competizione per le risorse diventerà presto più intensa”, ha commentato Rafael Loss, analista militare dell’European Council on Foreign Relations. 

La sovrapposizione delle supply chain diventerà un’arma geoeconomica, anche per quelle ritenute essenziali per gli obiettivi climatici. Lo dimostra la minaccia che giunge dal ministro cinese per il Commercio e quello di Scienza e Tecnologia: l’introduzione di una misura per bloccare l’export di tecnologie per la produzione di wafer semiconduttori per i pannelli fotovoltaici. Verrebbero così inseriti in una lista di materiali strategici, protetti per l’interesse nazionale e industriale cinese che già include, per esempio, le terre rare. 

Se Cina e Russia non sono più fornitori ritenuti affidabili, come ricostruire una filiera stabile e sicura? La ricetta che è stata condivisa durante l’evento, come raccontato dal Sole 24 Ore, è quella che condurrà alla presentazione dell’European Critical Raw Materials Act questo marzo. Investimenti pubblico-privati, maggior cooperazione interstatale e tra le agenzie nazionali deputate, standardizzazione delle regole e snellimento della prassi burocratica che rappresenta un punto debole, sia per l’apertura di nuovi siti estrattivi – come il recente annuncio della miniera svedese da parte di LKAB – sia per gli incentivi all’economia circolare, come ha ricordato Giacomo Vigna. La forte base industriale e manifatturiera di Italia e Germania, oltre alla loro forte integrazione commerciale, rende il coordinamento di queste misure essenziale, come ha ricordato il ministro Brantner. 

Due posizioni interessanti sono emerse. La prima, di Peter Buchholz (Dera) che ha affermato che una prima fase di valutazione dei rischi è finita. “Ora conosciamo a fondo i problemi”, ha commentato, “dobbiamo concentrarci sulle soluzioni facendo decollare nuovi progetti”. La seconda, un po’ in controtendenza rispetto alla prima, quella di Gian Andrea Blengini, ingegnere del Politecnico di Milano e consulente della Commissione europea tramite il Joint Research Centre (braccio scientifico dei funzionari a Bruxelles). Secondo Blengini la lista europea delle materie prime critiche va dimezzata da 30 a 15. Una revisione che imporrebbe una nuova metodologia di analisi e una nuova valutazione dei rischi, tenendo magari in considerazione progetti industriali dalla natura prettamente strategica. 

Questo alla luce del fatto che il contesto geopolitico è in continuo mutamento, così come le esigenze del mercato. Materie prime considerate ‘critiche’ ieri potrebbero non esserlo più domani. È quindi essenziale far convergere gli investimenti su asset industriali che, al netto delle scelte di consumatori e dell’evoluzione tecnologica, saranno comunque le basi portanti dell’economia del futuro. Batterie, semiconduttori, magneti e le rispettive supply chain. Non a caso lo strumento degli Ipcei (Important Project of Common European Interest), come rilassamento per le regole europee sugli aiuti di Stato, è stato già applicato per le prime e i secondi. 

Nel caso specifico delle terre rare, per una completa filiera integrata ci vorranno anni, forse almeno un decennio. La sfida è creare, contemporaneamente, incentivi per tutti i segmenti, dalla miniera ai magneti e assicurarsi che il procurement avvenga in Europa. Senza consumatori finali, tuttavia, non potrà esserci una vera indipendenza commerciale dalla Cina. 

Per questi segmenti che hanno un’applicazione trasversale in diversi settori industriali, sarà importante costruire un ecosistema pubblico-privato solido, prendendo preziosi insegnamenti anche dal fallimento di Britishvolt. In un contesto inflazionistico e di aumento del costo del capitale, che molti analisti vedono prolungarsi, gli investimenti pubblico-privati dovranno essere ben calibrati. 

Il flusso di finanziamenti dovrà comunque aumentare. Thierry Breton, intervenendo ad una tavola rotonda organizzata a Bruxelles lunedì, insieme a Société Générale, Deutsche Bank e Santander Group e altri importanti gruppi bancari europei, ha sollecitato “investimenti nelle operazioni lungo la catena del valore delle materie prime critiche”. Si tratta di un settore molto rischioso, considerando le problematiche sociali, ambientali, l’incertezza geopolitica e le differenti criticità lungo la filiera. Il Commissario al mercato interno ha citato la dipendenza da paesi autocratici, come la Cina, e la “colossale” crescita della domanda per spronare i banchieri. Insomma, da una parte la (geo)politica, dall’altra le opportunità di dividendi economici. La disponibilità del capitale privato dipenderà molto dalle clausole e normative che verranno previste l’8 marzo, data in cui la Commissione presenterà lo Eu Crm Act



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