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Chip, il piano Usa per tornare al centro della produzione

In un intervento alla Georgetown University, la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha illustrato i piani d’implementazione del Chips Act dell’amministrazione Biden. L’obiettivo è fare dell’America il centro della manifattura mondiale di chip all’avanguardia, creando un ecosistema al servizio della sicurezza nazionale… I dati ad oggi sono confortanti

Dopo aver approvato, lo scorso agosto, uno dei provvedimenti legislativi più consistenti e importanti nella storia degli Stati Uniti, per l’amministrazione Biden è arrivato il momento della seconda fase. Quella dell’implementazione effettiva del Chips for America Act.

L’intervento – che comprende $39 miliardi di incentivi per espandere le attività produttive e più $12 miliardi per le fasi di ricerca e sviluppo – in realtà ha già registrato conseguenze concrete. A partire dalla sua approvazione e già nelle fasi di discussione, la portata della misura ha stimolato i piani di produzione dei principali produttori globali, americani e non.

Sono stati infatti confermati circa $200 miliardi di investimenti privati negli USA entro il 2030, con 23 nuove strutture di produzione e il potenziamento di 9 esistenti secondo quanto monitorato dalla Semiconductor Industry Association (Sia). Tra i più significativi, quattro impianti di TSMC (un impianto da 40 miliardi a Phoenix) e Intel in Arizona ($20 miliardi ciascuno), un impianto di Samsung in Texas (da circa 17.3 miliardi) e altri investimenti in strutture per la fornitura di materiali (equipaggiamento, wafer, e prodotti chimici) funzionali alla supply chain. Anche Micron Technology e Texas Instruments hanno annunciato rispettivamente quattro fonderie (circa 100 miliardi di investimenti entro 20 anni) ciascuna. L’enfasi è rimasta sulle attività back-end, meno sul design e software Eda che rimangono, invece, punti di forza sui quali gli Usa hanno puntato come arma economica per sfruttare il loro dominio tecnologico sui microchip ai danni della Cina.

Secondo quanto riportato durante l’intervento del Segretario al Commercio, Gina Raimondo, alla Georgetown University, gli Stati Uniti selezioneranno i fondi previsti dal Chips Act per creare almeno due grandi cluster manifatturieri per chip all’avanguardia – attualmente prodotti soltanto da Tsmc per il 92% e Samsung (sotto i 5 nanometri) – entro il 2030. L’obiettivo sarà quello di creare le condizioni ecosistemiche per riportare in patria impianti, laboratori e centri di packaging per assemblare i semiconduttori e parte della filiera a supporto, compresi i fornitori di macchinari e materiali, “su basi economiche competitive” ha rimarcato Raimondo. I nuovi impianti dovranno assicurare le necessità “più critiche per la sicurezza economica e nazionale” degli Stati Uniti.

Novità e dettagli sull’effettiva implementazione delle misure verranno diffuse la prossima settimana dal Dipartimento del Commercio, che illustrerà le modalità con le quali le aziende americane e straniere (in ossequio alle direttive del Chips Act, che esclude l’esigibilità di aziende che operino per conto di potenze ostili o che rappresentino un rischio per la sicurezza nazionale) potranno presentare domanda per accedere ai copiosi incentivi federali.

A proposito di rischi per la sicurezza nazionale, Raimondo ha citato la Cina, la quale ha di recente rivisto le sue ambizioni per l’autosufficienza tecnologica, rinviando il target al 2035. Un parziale fallimento che è anche, in parte, dovuto alla stretta sull’accesso alla tecnologia chiave (la litografia ultravioletta) e al know-how (le capacità di design) imposto dalle amministrazioni americane tra il 2019 e oggi, con l’allineamento dei partner come Giappone e Olanda. Ma soprattutto per le difficoltà strutturali di un mercato – ciclico, ad alta intensità di capitale e di conoscenze – che non può essere piegato solo ed esclusivamente dai sussidi pubblici. Per la Segretaria al Commercio, Pechino “vuole la tecnologia [dei semiconduttori, n.d.] per migliorare le sue capacità militari” e dunque i controlli sulle esportazioni “sono state definite con precisione per assicurare che i microchip [prodotti con tecnologia avanzata americana] non vadano ad aumentarne le capacità militari”.

Capacità che potrebbero cambiare gli equilibri in gioco, soprattutto nell’ottica della possibile riunificazione militare con Taiwan che preoccupa sempre di più l’amministrazione e il Congresso. L’isola è al centro dell’industria dei semiconduttori per le capacità tecno-manageriali-industriali di Tsmc e dello scontro geopolitico tra Usa e Cina per il predominio dell’Asia-Pacifico. La politica di deterrenza americana in difesa di Taipei, di “ambiguità strategica”, resta il caposaldo su cui si giocherà questa partita, seppur Pechino non veda di buon occhio le forniture militari americane: di recente, Raytheon e Lockheed Martin sono stati inseriti in una lista di entità definite una minaccia per la sicurezza e la sovranità della Cina.

Ma non si tratta solo di misure in un’ottica di contenimento tecnologico delle capacità militari cinesi. Come ricordato da Raimondo, il piano del governo di investire 11 miliardi di dollari per un National Semiconductor Technology Center mirano a rafforzare, e assicurare, il posizionamento degli Stati Uniti sulle tecnologie critiche per il futuro, come l’intelligenza artificiale e il quantum computing. “La visione è per una partnership pubblico-privata ambiziosa dove governo, industria, consumatori, fornitori, istituzioni accademiche, imprenditori e investitori convergano per innovare, connettere e risolvere i problemi”. Tra cui, quello di un approvvigionamento sicuro di chip all’avanguardia (specialmente quelli logici e di memoria).

Secondo Will Hunt, analista del Center for Security and Emerging Technologies (Cset) e che ora lavora come consigliere per il Dipartimento del Commercio, circa 23 miliardi di incentivi potrebbero consentire, attraverso il Chips Act, a tre aziende leader del mercato come Intel, Samsung e Tsmc di mantenere o stabilire una presenza industriale a lungo termine negli Stati Uniti a partire dal 2027.

La selezione dei possibili fruitori degli incentivi non finirà, dunque, per essere una distribuzione di sussidi cieca, per fornire supporto statale a quelle aziende che risentono dell’attuale ciclo di ribassista per via dei problemi macroeconomici (legati ad inflazione e calo della domanda). Secondo Raimondo, “la realtà è che il ritorno sugli investimenti pubblici sarà il raggiungimento dei nostri obiettivi di sicurezza nazionale”.

Un obiettivo che è condiviso dalla stessa Sia la quale in un comunicato stampa ha confermato l’allineamento dell’associazione industriale con gli obiettivi dell’amministrazione. “Dobbiamo assicurare che il Chips Act venga implementato con efficacia, efficienza e rapidamente. Condividiamo la visione del Segretario che la misura consista in un’opportunità storica”.


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