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Cosa (non) ha detto Wang su Taiwan. E cosa dice a Mosca

Wang, durante il tour europeo, ha promosso la narrazione cinese sul piano di pace per l’Ucraina. Ma quando ha dovuto affrontare la questione Taiwan, di pace non ha parlato. Da Mosca, Russia e Cina rilanciano la propaganda contro l’ordine mondiale a guida occidentale

C’è un passaggio da evidenziare dell’intervento di Wang Yi, del capo della diplomazia del Partito Comunista Cinese, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco che nell’ultimo fine settimana è stato il palcoscenico centrale della politica internazionale. A un certo punto della loro chiacchierata, l’ospite, il presidente della Munich Security Conference Foundation Wolfgang Ischinger, chiede a Wang di rassicurare il pubblico – ossia l’intero mondo che segue a diverso titolo gli affari globali passanti per la Conferenza – che l’escalation militare cinese su Taiwan non è imminente. Ma il gerarca cinese ha glissato, scegliendo piuttosto di rassicurare quel pubblico che Taiwan fa parte del territorio della Repubblica popolare cinese e di attaccare i “separatisti” che governano l’isola.

Ma la Cina non lavora per la pace?

Nessuna parola sulla preferenza per la pace per risolvere quella che il Partito/Stato sente come un vulnus esistenziale, l’esistenza della Repubblica di Cina, ossia di un’altra Cina. Strana coincidenza che arriva negli stessi giorni in cui Wang va in giro tra le cancellerie europee a proporre un piano di pace per l’Ucraina.

Finora la dottrina cinese prevedeva il non riconoscimento dell’esistenza di Taiwan e mirava strategicamente all’annessione dell’isola attraverso un percorso pacifico e diplomatico. Nell’idea, i taiwanesi prima o poi avrebbero scelto da soli di entrare nell’unica Cina possibile, accettandone principi, cultura e tradizioni. Ma il raggiungimento di questo obiettivo è molto distante al momento: la percentuale dei pro-cinesi tra i taiwanesi si sta riducendo, perché è aumentata la consapevolezza tra gli oltre venti milioni di cittadini dell’isola che finire sotto Pechino significherebbe una contrazione di tutte le libertà che hanno più o meno vissuto dal 1949 a oggi – e la vicenda di Hong Kong è stata un esempio agghiacciante.

Nella politica estera il non detto è più significativo delle dichiarazioni, perché il wording è essenziale. E soprattutto nel caso cinese. Pechino è convinta che “chi governa le parole governa il mondo […] Lo huayuquan di un Paese è essenzialmente una forma di potere equivalente al potere militare e al potere economico”, spiegava Nadege Rolland in un paper uscito nel gennaio 20220 per il National Bureau of Asian Research. La retorica al centro della proiezione di potere cinese: “Xi [Jinping] ha sottolineato in più occasioni la necessità che la Cina rafforzi il suo potere discorsivo a livello internazionale e costruisca un sistema discorsivo esterno […] la rinascita della grande nazione cinese sarà completata dalla sua capacità di teorizzare ed esportare questo modello alternativo di modernità e di civiltà”, aggiunge Rolland. Da tenere sempre in primo piano che quelle parole spese da alti funzionari come Wang sono spesso rivolte ad uso e consumo del pubblico (leadership e non) interno.

Sed pacem para bellum

Ma Pechino vuole anche dimostrare che contemporaneamente ha armi differenti rispetto alla parola. Da tempo la leadership del Partito/Stato non nega che l’annessione di Taiwan sia diventato una questione di priorità nazionale. E per questo non esclude la forza come soluzione. Il cambio di narrazione ha avuto un passo successivo, con l’alterazione dello status quo attorno all’isola. Per questo step era stata sfruttata la visita dell’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi. I cinesi avevano colto l’occasione per avviare una serie di manovre in violazione delle sovranità (aeree e marittime taiwanesi), dimostrando che per Pechino esse non esistono.

Il Partito/Stato osserva da mesi le evoluzioni attorno al conflitto russo in Ucraina anche pensando a Taiwan. E non è un caso se dopo essere ripartito da Monaco, il più alto funzionario cinese sulla politica estera, è volato verso Mosca passando per Budapest. In Russia, l’appuntamento centrale è un (possibile) incontro con il presidente Vladimir Putin. Appuntamento arrivato a pochi giorni dal primo anniversario del conflitto, nello stesso giorno del discorso del leader russo alla Duma, e appena dopo che gli Stati Uniti avevano avvertito che Pechino stava “prendendo in seria considerazione” la possibilità di sostenere con forniture di armi lo stentato sforzo bellico della Russia.

L’ampia agenda delle relazioni

L’agenda russo-cinese “è molto ampia”, come ha dichiarato lunedì il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ai giornalisti. La visita di Wang a Mosca è la prima di un alto funzionario cinese da quando Putin ha ordinato l’invasione, ed è in netto contrasto con il viaggio a sorpresa di Joe Biden a Kiev di ieri, con il presidente degli Stati Uniti che ha incontrato il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky e si è impegnato a “sostenere senza riserve” la resistenza del Paese contro l’offensiva russa. Lo stesso Zelensky che in questo momento sta sfruttando le occasioni pubbliche (per esempio due interviste al CorSera e al Die Welt) per sottolineare che il coinvolgimento cinese in Ucraina significherebbe l’inizio della Terza Guerra Mondiale.

La Cina rilancia, non attacca Kiev ma direttamente Washington: “Non accettiamo mai il dito puntato degli Stati Uniti o addirittura la coercizione nei confronti delle relazioni Cina-Russia […] Gli Stati Uniti dovrebbero lavorare per una soluzione politica della crisi invece di alimentare il fuoco o trarre profitto dalla situazione”, dice il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. La propaganda russa e cinese in questo momento è perfettamente allineata: il messaggio da far passare è che il sostegno a Kiev infiamma la guerra e gli Stati Uniti lo stanno sfruttando per proprio tornaconto.

Piano di pace e di narrazione

Wang ha utilizzato il tour europeo — il primo da quando, l’anno scorso, il leader cinese Xi Jinping ha posto fine a tre anni di isolamento della Cina nell’ambito della politica “zero Covid” — per proporre la Cina come potenziale pacificatore in Ucraina e per ricostruire i legami di Pechino con l’Occidente. Parlando a Budapest lunedì, ha detto per esempio che la Cina sarebbe “lieta di collaborare con altri Paesi amanti della pace per far cessare le attuali ostilità il prima possibile”. “La Cina vuole […] promuovere attivamente la democratizzazione delle relazioni internazionali e la multi polarizzazione del mondo”, ha aggiunto, accedendo a una narrazione cara anche all’Ungheria in cui si muove l’allineamento russo-cinese contro l’ordine mondiale liberale.

Tuttavia le osservazioni concilianti di Wang smentiscono le mosse della Cina per approfondire i legami con la Russia, anche se la guerra lascia Putin sempre più isolato a livello internazionale. La Cina non ha condannato l’invasione, coltivando invece la Russia come utile baluardo nella sua crescente competizione con Washington. La Cina ha criticato i Paesi occidentali non solo per le loro forniture di armi avanzate all’Ucraina, ma anche per le sanzioni economiche contro la Russia.

Pechino, che non ha aderito alle sanzioni, ha invece aiutato Mosca a compensare i danni prodotti da esse, aumentando gli acquisti di petrolio e gas russo e fornendo componenti per sostituire le importazioni occidentali inserite nella lista nera. La Cina rappresenta oggi circa la metà di tutte le importazioni russe, secondo i dati doganali tracciati dal Bruegel, un think-tank economico con sede a Bruxelles.

Tenere a galla Mosca

Per la Russia, la Cina è la principale ancora economica e questo crea una condizione di subordinazione di fatto di Mosca. Tuttavia per Pechino — che come nota Derek Grossman della Randazzo Corporation è attorniata da alleati paria come Cambogia, Laos e Corea del Nord — potrebbe essere arrivato il momento di non vedere affogare il partner.

Pechino sta inoltrando alle cancellerie internazionali un documento che ribadisce le proposte di Xi Jinping per la pace, tra cui il rispetto della sovranità di tutte le nazioni, il fatto che la guerra nucleare non dovrebbe mai essere combattuta e che le strutture nucleari civili dovrebbero essere protette.

I diplomatici cinesi si sono detti scettici sul fatto che la visita di Wang a Mosca o il piano di pace proposto possano cambiare la situazione in Ucraina. Ma per la Cina la propaganda su di esso è utile per mantenere aperta la connessione con la Russia.


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