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Bene Meloni sul superbonus, ora largo al Pnrr. Parla Giovannini

Intervista all’ex ministro delle Infrastrutture nel governo Draghi. Quella misura aveva una valenza congiunturale e per questo limitata nel tempo, giusto fermarla. Adesso bisogna pensare in grande, l’imperativo è la rigenerazione urbana. E per fortuna le risorse legate al Recovery Plan innescheranno una domanda che andrà a sostituirsi al vuoto lasciato dalla fine di quella esperienza

Un conto è fermare il superbonus, doveroso se si vuole salvaguardare la tenuta dei conti pubblici italiani ed evitare di appesantire le famiglie con nuovo debito. Un altra cosa è fare di tutt’erba un fascio e sacrificare la rigenerazione edilizia del patrimonio immobiliare. Enrico Giovannini, economista con un passato da presidente dell’Istat, ha fatto parte fino all’ottobre del 2022 di quel governo che porta il nome di Mario Draghi e che per primo tentò di scardinare, ma con tatto, la misura nata con il governo Conte II per volere del Movimento 5 Stelle.

Allora Giovannini era ministro per le Infrastrutture (nell’esecutivo Letta ha invece ricoperto la carica di titolare del Lavoro) e per questo sa bene che superbonus o meno, il problema vero dell’Italia e del suo mattone è la riqualificazione di case e uffici. Per questo, finita l’onda emotiva della stretta di Giorgia Meloni, verrà il tempo di pensare in grande e trovare nuove leve. Per esempio il Pnrr.

Veniamo subito al punto. Ha fatto bene il governo a fermare il superbonus nel nome della finanza pubblica oppure no?

Se mi permette, farei una premessa. Vorrei ricordare che il tema dell’efficientamento del nostro patrimonio abitativo non è una cosa che si risolve in 3-5 anni, ce ne vogliono venti almeno. Su questo sarebbe bene intendersi. Parliamo di un processo lungo, faticoso e costoso. Ma assolutamente essenziale sia per salvaguardare l’ambiente e la salute dei cittadini, sia per migliorare le condizioni di vita, sia sociali, sia economiche, delle persone. La tematica della manutenzione delle infrastrutture costruite 70 anni fa non è molto diversa da quella delle abitazioni costruite nello stesso periodo. Per questo servono misure di lungo termine e non qualcosa di circoscritto in termini temporali.

Tutto chiaro. Tornando alla domanda iniziale?

Io credo che il governo abbia fatto bene a intervenire, per chiarire non solo il presente ma anche il futuro del superbonus. Ma un confronto preventivo con le imprese avrebbe evitato l’effetto dirompente, quasi emotivo, al quale abbiamo assistito, il che rende la discussione difficile, anche a livello mediatico. E lo stesso vale per i problemi irrisolti sulla gestione dei crediti.

Si riferisce all’immensa mole di crediti ceduti ma incagliati?

Esattamente. Anche in questo caso sarebbe stato opportuno un confronto preventivo, sia per quanto riguarda il futuro, sia per quanto riguarda il passato. Cose che, purtroppo, solo dopo l’adozione del decreto l’esecutivo ha avviato.

Dunque possiamo dire che il superbonus era una misura nata e concepita per un orizzonte temporale limitato?

Guardi che questa cosa l’hanno detta tutti, anche coloro i quali hanno concepito la misura. Ci sono stati degli eccessi di generosità, soprattutto con il 110%. Un eccesso che ha anche alimentato una speculazione sui prezzi. Il superbonus era una misura congiunturale, cioè legata a una precisa fase storica, legata alla crisi dell’edilizia, aggravata dalla pandemia. Ora, però, bisogna tenere bene presente che nel 2023 la domanda che verrà a mancare con la fine di questo meccanismo potrà essere sostenuta da quella innescata dal Pnrr.

Si spieghi meglio…

La spinta del Pnrr durerà per i prossimi quattro anni, un orizzonte decisamente più lungo del superbonus. Dunque, le risorse ricevute dall’Europa, già incardinate su obiettivi fissati, genereranno una spinta alla riqualificazione del patrimonio abitativo, alla costruzione di nuove infrastrutture, al potenziamento del sistema educativo e sanitario, ecc. la quale andrà a sostituirsi a quella del superbonus. Il problema sarà, semmai, realizzare nel concreto i lavori nei tempi previsti, perché l’offerta del settore delle costruzioni presenta diversi limiti, in primo luogo di disponibilità di manodopera.

Allora non c’è da preoccuparsi più di tanto per la fine del superbonus.

Sul piano macroeconomico sì, ma il rischio di chiusura di tante imprese è reale, con conseguenze negative per l’occupazione. Come ho detto, la comunicazione e il confronto preventivo con le imprese potevano aiutare a trovare le migliori soluzioni. Piuttosto, è urgente immaginare cosa deve sostituire il superbonus, perché abbiamo un bisogno urgentissimo di ristrutturare ed efficientare sul piano energetico le abitazioni in cui vive la maggioranza delle famiglie.

L’Italia ha un grande bisogno di riqualificazione del proprio mattone. Volendo andare oltre il Pnrr?

Bisogna riprendere in mano la legge, per poco non approvata a causa della caduta del governo Draghi, sulla rigenerazione urbana. Una legge che va approvata il prima possibile. Questo aprirebbe la strada a un percorso di medio-lungo termine. E poi vanno cambiate le norme tecniche sull’edilizia e le norme urbanistiche, molto vecchie e inadeguate. L’esecutivo precedente aveva predisposto delle bozze di norme e regolamenti su queste materie. Al di là del rumore sul superbonus è necessario rimettere al centro la rigenerazione urbana.

E lei vede nell’attuale governo la giusta sensibilità verso tali esigenze?

Mi auguro che la vicenda del superbonus stimoli in un certo senso questa sensibilità. Il mio successore, Matteo Salvini, ha tutti i documenti che avevamo predisposto, credo che siano un ottimo punto di partenza per i prossimi passi.

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