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L’Italia stia attenta ai frugali. La nuova Europa vista da Messori

Intervista all’economista della Luiss e saggista. Inevitabile aspettarsi una nuova spaccatura in Europa tra Paesi indebitati e governi dai conti in ordine. L’unico modo per scongiurare uno scontro già visto in passato è una riforma del Patto di stabilità che abbia il sapore del vero salto di qualità. La proposta italiana per un veicolo comune al fine di finanziare l’industria e la transizione contro i sussidi Usa? Sacrosanta

Nulla sarà più come prima. Ma non è detto che il futuro sia poi così tanto diverso dal passato. A poche ore dalla prima, vera, svolta europea sulla gestione dei debiti e dei deficit sovrani, attraverso una revisione del Patto di stabilità, ci si interroga sull’effettiva portata della rivoluzione copernicana, come l’ha definita il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, destinata a mandare in soffitta dieci anni e passa di rigore. Formiche.net ne ha parlato con Marcello Messori, economista della Luiss, saggista e gran conoscitore di cose comunitarie.

L’Europa è in questi giorni chiamata a una prova sotto sforzo: accantonare anni di vincoli di bilancio in favore di una nuova governance, figlia di nuove (e forse inimmaginate) crisi geopolitiche e di un’inflazione tra le più violente degli ultimi anni. Riuscirà fino in fondo questo cambio di pelle e di natura?

Effettivamente le istituzioni europee si trovano, oggi, di fronte a decisioni cruciali per il futuro della governance economica della Ue. Ed è entrata nel vivo la discussione sulle nuove regole fiscali, che dovrebbero accantonare molti dei complessi e rigidi vincoli del vecchio Patto di stabilità e crescita per consentire, da inizio 2024, aggiustamenti dei bilanci pubblici specifici per ogni Paese, secondo l’impostazione proposta dalla Commissione a novembre scorso.

Non è poco per un’Europa che fino a ieri faceva i conti in tasca ai singoli Paesi, passando al setaccio ogni sforamento di deficit…

Sì, ma non è tutto. Si è aperta anche una discussione sulla necessità di una politica industriale centrale che, per ora, è sfociata nella deludente proposta di ulteriore allentamento delle regole sugli aiuti di Stato ma che, per sfociare in misure davvero efficaci per il futuro ruolo europeo nei mercati internazionali, dovrà porsi il problema di come innescare e accompagnare la necessaria evoluzione del modello economico della Ue. Vi è, infine, la necessità di realizzare i programmi di Next Generation-Eu e le iniziative sull’energia di RePower-Eu per innescare la transizione verde e digitale e per mostrare che una capacità centrale europea è davvero lo strumento irrinunciabile per la crescita dell’area.

Un menù ricco di cambiamenti strutturali. Un collante esiste?

In questo quadro, la politica monetaria rappresenta un tassello importante che deve assicurare stabilità ma, al contempo, non soffocare i margini di crescita anche nel breve-medio periodo. Solo un’adeguata combinazione fra tutti gli elementi ricordati può portare a tale positivo risultato.

Messori, si intravede all’orizzonte un nuovo scontro tra Paesi frugali, con i conti pubblici in ordine e capacità di spesa elevata e Paesi indebitati, come l’Italia, il Portogallo e forse la Spagna. Nonostante un nuovo Patto di stabilità, quanto è reale il rischio di un’Europa a due velocità, ancora una volta?

Il rischio di una divergenza fra Paesi della Ue è elevato e purtroppo si concretizzerà, se le risposte fornite alle sfide prima ricordate non sfoceranno in un auspicabile salto di qualità nella governance economica europea. Sotto tale profilo, vi è una falsa soluzione che va evitata: puntare su una flessibilità di breve periodo, non collegata a strategie di lungo periodo.

Qualcosa che tira direttamente in ballo l’Italia.

Appare evidente che l’Italia ha un interesse immediato per acquisire margini di ridefinizione del piano nazionale per la realizzazione del più importante programma di Next Generation-Eu. Ed è altrettanto chiaro che Germania e Francia hanno il fine di breve termine di acquisire maggiori possibilità di interventi pubblici per ristrutturare alcuni comparti produttivi. Dunque è comprensibile che i cosiddetti Paesi frugali puntino a una manutenzione di corto respiro del Patto di stabilità perché non si fidano degli impegni assunti dai Paesi più fragili. Eppure, se l’accordo sarà quello di soddisfare le diverse esigenze di flessibilità senza inserirle e correggerle entro una comune strategia di medio-lungo periodo, il percorso aperto dalla risposta europea allo shock pandemico si richiuderà e torneremo allo stallo economico-istituzionale degli anni 2016-2019.

La Germania sembra essersi ripresa, visto che nel 2023 crescerà dello 0,2%. Eppure l’Italia viaggia più velocemente. Berlino, schiava del carbone e del gas russo (ancora) tornerà la locomotiva d’Europa o no?

Nella Ue i vincitori di ieri non saranno necessariamente quelli di domani. Questa è la consapevolezza che rende conveniente per tutti gli stati membri disegnare una strategia cooperativa di lungo periodo, in grado di essere avviata subito. Le difficoltà della Germania derivano dal fatto che è il Paese europeo con la specializzazione produttiva più vulnerabile rispetto allo shock energetico e alle strozzature nell’offerta di input produttivi ad alta tecnologia.

E l’Italia?

Il successo congiunturale dell’Italia è dovuto al fatto che la nostra relativa arretratezza tecnologica ci ha protetto rispetto alle rotture nelle catene internazionali del valore e ci ha permesso di soddisfare una domanda, prima compressa, di beni e servizi di largo consumo. La scommessa di medio periodo è però diversa. Saprà la Germania ridurre il divario tecnologico che la separa, per esempio nell’automotive, dai Paesi asiatici? Saprà l’Italia portare avanti quella razionalizzazione del proprio apparato produttivo, che è già stata avviata nel manifatturiero ma che va estesa ai servizi? La risposta a tali domande è negativa se si pensa che le iniziative di successo abbiano scala nazionale. Le difficili transizioni nazionali possono trovare attuazione e avere costi sociali non proibitivi solo nel quadro di una politica economica europea. Di qui le precedenti considerazioni sull’inevitabilità di disegnare una moderna politica industriale centrale.

Per rispondere agli Stati Uniti, l’Italia ha chiesto un fondo comunitario per garantire aiuti di Stato in egual misura, senza disparità di trattamento tra frugali e non. Le pare una richiesta sensata?

Alla luce delle precedenti considerazioni, la risposta è assolutamente affermativa. Il documento (non-paper), prodotto di recente dal governo italiano, è corretto. Come ha dimostrato l’ultima riunione del Consiglio europeo, il rischio è che il governo italiano dimentichi la propria posizione strategica pur di ottenere un po’ di flessibilità di breve termine. Si tratta viceversa di inserire le forse inevitabili flessibilità, sollecitate dai vari Stati membri, in un quadro di strategie comuni.

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